Nell’analisi dei dati relativi all’esportazione dei prodotti alimentari, l’Italia si distingue principalmente per la trasformazione alimentare piuttosto che per la produzione di materie prime. Infatti, la maggior parte dei prodotti alimentari italiani esportati all’estero sono semilavorati o prodotti finiti, da ciò e da rapporti diretti con l’estero si ricava che all’Italia viene riconosciuto un particolare valore e prestigio nella lavorazione e rielaborazione delle materie prime. Dal 2004 al 2014 l’Export nel settore alimentare è passato da 18,7 mld a 34,3 mld (+ 83,9%). All’interno di questo scenario, il primo esportatore è il settore del vino.
Nonostante queste cifre appaiano promettenti, la Germania esporta più del doppio dell’Italia (circa 80 mld) ma non solo, alcuni prodotti di altri paesi vengono esportati a prezzi più alti rispetto a quelli italiani (il vino italiano viene venduto ad un prezzo medio di 1,87 €/l mentre la Francia esporta a circa 5 €/l). I principali mercati di esportazione dell’Italia sono quelli europei (Germania, Francia ed Uk) insieme a Stati Uniti e Canada, mentre solo il 27% viene distribuito nel resto del mondo.
Alcuni mercati esteri appaiono molto difficili per l’ingresso dei prodotti italiani, in quanto abituati a consumare degli alimenti completamente differenti dai nostri. Inoltre, la recente votazione della Brexit potrebbe procurare in futuro una riduzione delle esportazioni verso la Gran Bretagna ed i paesi del Commonwealth. È probabile che questo nuovo scenario politico, possa portare le industrie italiane del settore alimentare a guardare sempre più ad est in mercati ancora inesplorati.
La presa di coscienza di questi fattori e la veicolazione dei valori della produzione italiana può aiutare la nostra imprenditoria a trovare nuovi business e nuovi stati esteri in cui investire. Per fare ciò tuttavia potrebbe non essere sufficiente cristallizzarsi sull’esportazione di prodotti tipicamente italiani, ma potrebbe essere utili ideare nuovi prodotti studiati ad hoc per i mercati di interesse.
Un esempio di successo di cambio di paradigma, di comunicazione e di esperienza legato al settore del vino è quello della famiglia Casella (inizialmente piccoli produttori) che è diventata una delle principali esportatrici di vino nel mondo partendo dall’Australia con un vino, “yellow tail”, di qualità medio-bassa ma economico e con etichetta e nome semplici e memorizzabili.
In questa ottica è stata introdotta in Italia nei primi anni del 2000 la disciplina del Food Design, che va intesa come “Progettazione alimentare” ovvero la cultura di progetto nelle attività di ricerca e sviluppo nel settore alimentare per individuare soluzioni efficaci e contestualizzate.
Un cibo può cambiare, a seconda del contesto in cui viene assunto (a casa, su mezzi di trasporto, in viaggio, per strada, all’aria aperta, in montagna…), nella forma, dimensioni, consistenza, cottura. Pertanto, un prodotto di Food Design deve sottostare a ben precisi criteri di porzionabilità, modularità e formato adeguati al contesto ed agli strumenti con i quali verrà consumato. Ad esempio, il riso cucinato come risotto (per un consumo seduto a tavola con piatto e posate) appare in una forma e deve subire dei processi di preparazione completamente differenti rispetto al riso per la preparazione di un arancino (da mangiare anche in piedi per strada - street food).
Come altri prodotti di carattere industriale, le soluzioni di Food Design devono tenere conto dell’ergonomia, dell’industriabilità e della replicabilità. Fanno parte della disciplina del Food Design non solo i cibi di per sé ma anche tutti gli strumenti che vengono utilizzati per la presentazione ed il packaging del cibo stesso come piatti, posate, bicchieri, ciotole, etc.
In questo contesto, quindi, la Forma del prodotto può essere Identificativa oppure Funzionale.
La Forma Identificativa ha come scopo principale quello di rendere riconoscibile il prodotto e trasmettere mediante la forma stessa dei valori riconducibili al produttore; mentre, la Forma Funzionale è legata al tipo di utilizzo del prodotto. Un esempio di prodotto che racchiude in sé entrambi gli aspetti (identificativo e funzionale) sono i rigatoni con le scanalature interne mentre l’esterno è liscio, in modo da trattenere il sugo ma, allo stesso tempo, poter creare particolari decorazioni/impiattamenti.
Tra i frutti delle recenti attività di Food Design ci sono alcuni prodotti che stanno avendo un largo impiego nella nostra quotidianità, come: le “insalate funzionali” ovvero le confezioni di insalata pre-lavata e provviste al proprio interno dei condimenti e delle posate per poterle mangiare al momento e senza bisogno di preparazione; oppure, i “cooking system” delle buste per la cottura a microonde di verdure/cibi precotti.
Nel Food Design c’è anche spazio per la sperimentazione delle nuove tecnologie, come l’uso delle stampanti 3d per la realizzazione di cibi pronto uso o dalla forma particolare. L’uso delle stampanti 3D nel settore del cibo è ancora in fase sperimentale e si possono trovare soluzioni mutevoli e particolarmente avveniristiche, come la formazione di cibo con il contestuale inserimento di semi/spore in modo che nell’arco di qualche giorno all’interno del prodotto cresca insalata/funghi.
Il Food Design giocherà nei prossimi anni un ruolo importante nel settore alimentare e servirà a cercare e creare nuove esperienze di approccio al cibo, a seconda delle sempre mutevoli esigenze di consumo che si vengono a creare. In questo contesto ed a fronte di una sempre maggiore carenza di tempo durante le giornate lavorative, si inserisce ad esempio “Soylent” uno degli ultimi prodotti proposti dalla Silicon Valley con il motto “mangiare è diverso da nutrirsi” e che consiste in una polvere pronto uso per la realizzazione di un frullato che contiene tutti i principi nutritivi necessari per sostituire un pasto.