Durante questo periodo di transitorio, la normativa dell’Unione Europea in materia di proprietà industriale continuerà ad avere efficacia anche per il Regno Unito.
Durante il periodo transitorio, si dovranno rivedere in particolare gli accordi per marchi e design comunitari e i trattati relativi al Brevetto Europeo con Effetto Unitario (UP, Unitary Patent) ed alla relativa Corte Unificata (UPC, Unitary Patent Court). Mentre nulla sostanzialmente cambierà per quanto riguarda l’adesione del Regno Unito alla Convenzione Europea dei Brevetti, EPC - European Patent Convention, cui aderiscono già anche paesi al di fuori dell’Unione Europea.
Sebbene a livello europeo non ci siano ancora indicazioni ufficiali, è probabile che per i marchi e design comunitari (già in vigore da anni) si sottoscriveranno degli accordi bilaterali che facciano riconoscere nel Regno Unito post Brexit i diritti conferiti da tali privative. Nel frattempo, le nuove domande di marchio e design comunitari copriranno tutti i 28 paesi dell’Unione Europea, Regno Unito compreso.
Invece è meno chiaro lo scenario relativo ai trattati dell’UP e dell’UPC, non ancora entrati in vigore. Cosa dovremo aspettarci quindi a seguito della votazione del 23 giugno?
A livello europeo sembra esserci l’intenzione di proseguire sulla strada ormai tracciata, visto che il sistema è ad uno stato troppo avanzato per potersi arrestare o rimettere in discussione. Infatti l’UP e l’UPC sono arrivati ad un approdo dopo decenni (circa 40 anni) di trattative e, al momento, entreranno in vigore quando saranno ratificati in Germania, Francia e Regno Unito. Con la Brexit il terzo stato a dover ratificare sarebbe l’Italia.
Pertanto l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, potrebbe rappresentare per l’Italia l’opportunità di ridiscutere almeno in parte alcuni aspetti dei trattati UP e UPC. Infatti è bene ricordare che l’adesione dell’Italia ad entrambi i trattati è avvenuta dopo anni di indecisioni ed opposizioni, soprattutto a causa del regime linguistico avverso che esclude l’italiano e riconosce come lingue ufficiali l’inglese, il tedesco ed il francese.
In questo scenario, di particolare rilievo è la destinazione a Londra di una delle tre sedi principali delle Corti Unificate (le altre due sedi sono state assegnate a Parigi ed a Monaco).
Sebbene sembra improbabile una riapertura delle trattative per far riconoscere anche l’italiano come lingua ufficiale, anche se a seguito della Brexit l’unico paese con l’Inglese come lingua ufficiale sarebbe Malta, potrebbe essere ragionevole richiedere che venga ricollocata in Italia la Corte Unificata di Londra.
Sono notevoli i vantaggi che ne deriverebbero. Infatti ciò comporterebbe, tra l’altro, nuovi posti di lavoro, investimenti europei sul nostro territorio ed una riduzione dei costi per le imprese italiane. Nonché la possibilità di affermare a livello internazionale la giurisdizione italiana che, tra l’altro, nel settore della proprietà industriale rappresenta un’eccellenza.
Tuttavia, a livello europeo iniziano a circolare opinioni secondo le quali i trattati UP e UPC potrebbero essere modificati in modo da comprendere anche paesi extra-UE. In quest’ottica, il Regno Unito potrebbe essere reintrodotto. Inoltre, è confermato che il Regno Unito possa ratificare i trattati anche durante le negoziazioni secondo l’Art.50 del trattato di Lisbona.
Se da una parte potrebbe essere interessante mantenere l’Inghilterra all’interno del Brevetto Europeo con Effetto Unitario, dall’altra è più che discutibile lasciare una Corte Europea a Londra, sia per l’indotto che una Corte così prestigiosa può creare sia perché si lascerebbe completamente in mani di altri, e soprattutto in mano di uno stato extra-europeo, un sistema giuridico e così importante e strategico per l’innovazione e la competitività delle imprese in seno all’Unione Europea.
Infatti mantenendo una delle sedi delle Corti Unificate a Londra, un imprenditore italiano chiamato in causa per un brevetto europeo con effetto unitario potrebbe doversi difendere a Londra, con un procedimento in inglese o in tedesco o in francese. Sono evidenti i costi sia solo logistici che un imprenditore dovrebbe affrontare in una tale situazione ed i vantaggi che un concorrente britannico potrebbe avere. Senza tenere conto che la sede di Londra sarebbe fortemente influenzata e influenzabile da giudici e legali locali.
L’Italia potrebbe farsi forza nel richiedere questa ricollocazione anche sulla base delle statistiche relative alla crescita avvenuta nei depositi di brevetti nell’ultimo anno. Infatti, per numero di depositi di domande di brevetto europee, l’Italia è al sesto posto dopo: Germania, Francia, Paesi Bassi, Svizzera, Gran Bretagna e Svezia e tra questi paesi è l’unico paese che ha segnato una crescita del 6.1%. Si tratta del maggior incremento negli ultimi 10 anni. Anche a seguito del Patent Box, c’è buona speranza che per il 2016 i dati siano ancora in crescita e aiutino ad evidenziare come l’Italia sia un paese altamente innovativo e che l’assenza di “numeri” in passato fosse determinato più che altro da un fattore culturale ed una bassa propensione per le aziende di descrivere, e conseguentemente valorizzare, i propri asset intangibili mediante il deposito di brevetti.
Sicuramente nei prossimi mesi il tema della ricollocazione della Corte Unificata di Londra sarà un tema importante per le imprese italiane, insieme all’opportunità di ricollocare altre agenzie europee come l’agenzia del farmaco (Ema) e quella degli organi di vigilanza bancaria (Eba).
È il tempo di farsi parte attiva sul tavolo delle trattative ed ottenere per l’Italia, uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea, quei riconoscimenti governativi fin’ora disattesi.