Ispirati dai film nazionalisti di matrice germanica e sovietica, questi lungometraggi sono epici, massivi, tumultuosi; purtroppo, però, spesso si rivelano insuccessi economici e questo rilevante dettaglio porta la cinematografia italiana a rivolgersi verso un altro tipo di produzione. Il filone che contraddistingue il cinema italiano, fino a diventarne quasi un marchio di fabbrica è il cosiddetto genere popolare, fatto di commedie e melodrammi romantici. In breve, il cinema di evasione, meglio noto come cinema dei telefoni bianchi.
I titoli, forse più sperimentali, che danno i natali alla nuova corrente sono La canzone dell’amore (di Gennaro Righelli, 1930), La segretaria privata (di Goffredo Alessandrini, 1931), T’amerò per sempre (di Mario Camerini, 1933), ma soprattutto La signora di tutti (di Max Olphus, 1934) con la sua sferzante critica della nascente industria del divismo.
E forse non è un caso, visto che in breve – come spesso accade – la maggior parte dei film dei telefoni bianchi finisce per modellarsi sulle star dell’epoca, da Ettore Petrolini a Vittorio De Sica, da Totò ad Aldo Fabrizi e Anna Magnani. Grazie alle interpretazioni di questi big, nascono titoli indimenticabili di Mario Camerini come Gli uomini, che mascalzoni (1932) e Il signor Max (1937).
Il regista più rappresentativo di questo filone è Alessandro Blasetti che alterna commedie melodrammatiche quasi sperimentali, come Sole (1929) e Resurrectio (1930), a lavori dialettali come Nerone (1930) e La tavola dei poveri (1932). Blasetti realizza inoltre film di cappa e spada, drammi psicologici, peplum e – ultimo ma non certo in ordine di importanza – il lungometraggio Quattro passi fra le nuvole (1942), che è tratto da un soggetto di Cesare Zavattini e che è stato ripreso nel 1995 con il titolo Il profumo del mosto selvatico, per la regia di Alfonso Arau e con la partecipazione di Keanu Reeves, Anthony Queen e Giancarlo Giannini.
20) LA NASCITA DI CINECITTÀ
Per l'ultima puntata di questa carrellata sulla storia di Hollywood, nonché del cinema in generale, ci permettiamo una doverosa digressione per raccontare le vicende di uno dei templi internazionalmente riconosciuti della settima arte: gli studi di Cinecittà, quel glorioso complesso che è riuscito a creare il mito della Hollywood sul Tevere.
In origine, le due città designate ad ospitare il progetto nascente sono Roma e Torino: l’una per la presenza della CINES, l’altra per la presenza di potenti case di produzione come la Ambrosio Film, la Pasquali e l’Itala. La scelta cade definitivamente su Roma perché, il 26 settembre 1935, un incendio distrugge gli studi della CINES stessa e lascia improvvisamente spazio alla costruzione del nuovo complesso. Esso prevede inizialmente stabilimenti, laboratori di sviluppo e stampa, una scuola professionale ed il cosiddetto Istituto Luce, ovvero La Unione Cinematografica Educativa. Nei piani originali è previsto anche un villaggio per tecnici e lavoratori di Cinecittà, che però poi viene presto abbandonato. I lavori iniziano il 26 gennaio del 1936, l’inaugurazione il 21 aprile dell’anno successivo. La storia narra che il primo lungometraggio girato nei teatri di Cinecittà sia stato L’Allegro Cantante di Gennaro Righelli, a cui solo nel primo anno fanno seguito altri 17 progetti, prevalentemente melodrammi patriottici di matrice fascista, ma anche opere musicali e commedie come Il Signor Max di Mario Camerini, ovvero il film che farà conoscere a tutti il talento di Vittorio de Sica.
A causa della Seconda Guerra mondiale, il complesso va incontro a una decadenza forzata. La devastazione e le ruberie compiute dalle truppe tedesche trasformano i teatri in macerie inutilizzabili e solo nel 1945 il presidente di Cinecittà Luigi Freddi riuscì a far restituire il materiale sottratto al complesso romano. Contrariamente alle aspettative di molti, con la conclusione del conflitto mondiale gli studi di Cinecittà non riprendono immediatamente la produttività a cui erano abituati. L’avvento del Neorealismo porterà infatti dei cambiamenti, che rivoluzioneranno la produzione cinematografica del tempo in maniera sostanziale.
20) LA NASCITA DI CINECITTÀ
Con il Neorealismo, infatti, i cineasti si spostano dai teatri alla strada in cerca di riprese all’aperto, attori non professionisti e una rappresentazione il più oggettiva possibile dei fatti. Autori come Zavattini, Rossellini, De Sica trasformano il cinema italiano, ma affossano i teatri di Cinecittà per almeno tutto il primo decennio del Dopoguerra.
Sono i colossi cinematografici statunitensi a risollevare la situazione, e in particolare la MGM che nel 1950 gira a Roma il colossal storico Quo Vadis? e riporta così vita nel complesso di Cinecittà, dando il via a un processo che raggiungerà il suo apice tra gli anni Cinquanta e Sessante. Ispirati dai grandi nomi della cinematografia internazionale, Fellini, Visconti, Pasolini e molti altri tornano a girare negli studi, innescando un flusso di lavoro costante e duraturo, che in un modo o nell’altro ha resistito anche durante periodi duri come gli anni Settanta e anche dopo la diminuzione di produzioni statunitensi. Non va dimenticato, infatti, che in una fase particolarmente critica nel 1978 l'Istituto Luce a Piazza Cinecittà viene ceduto al Comune di Roma e adibito a sede amministrativa della X Circoscrizione. All’inizio degli anni ’80, un’inattesa impennata del ritmo produttivo viene dato dalla privatizzazione del complesso, dall’ingresso a Cinecittà delle grandi produzioni televisive e dal ritorno dei big a stelle e strisce, attirati dall'apertura di un nuovissimo settore per le lavorazioni in digitale.
Negli ultimi anni i teatri di Cinecittà hanno infatti ospitato i set film di prestigio come Gangs of New York di Martin Scorsese, Le avventure acquatiche di Steve Zissou di Wes Anderson e La passione di Cristo di Mel Gibson. Nel 2008, poi, Cinecittà è stata messa utilizzata per le riprese di un episodio della serie di fantascienza britannica Doctor Who ambientato nell'epoca di Pompei.
...Last but (maybe) not least, va ricordato che dal 2000 gli studi hanno iniziato a ospitare anche, sebbene protetta e decisamente nascosta, la celeberrima Casa del Grande Fratello.
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