Ovviamente, nessuno all’epoca può immaginare che quello di cui si stanno allegramente “fregando” tutti in coro è il futuro campione di tennis Adriano Panatta, il più forte che l’Italia abbia mai avuto, colui che porterà il già glorioso Circolo Tennis Parioli sotto le luci della ribalta del mondo intero.
L’accoglienza che viene riservata al giovanissimo Panatta, presto conosciuto da tutti esclusivamente come “Ascenzietto”, è l’unica che possono offrire gli scapigliati goliardi che affollano il circolo all’inizio degli anni ’50. C’è Carlo Levi della Vida, che in seguito si rivelerà uno dei più famosi organizzatori dello sport-spettacolo. C’è Vasco Valerio, grande patito di tennis e delle belle macchine, futuro capitano di Coppa Davis. Ci sono tennisti affermati Bitti Bergamo e Giorgio Fachini, ma soprattutto le “stelle gemelle” Nicola Pietrangeli e Lea Pericoli.
Per loro, a quel tempo, il piccolo Adriano è solo un ragazzino con cui scambiare quattro colpi ogni tanto, uno a cui dire “A ragazzi’, ma che stai a ffà? Ma tornatene a fondo campo!”
È un pischello buono per far divertire sul campo Charlton Heston, a Roma per le riprese di Ben Hur. È uno da chiamare all’ultimo se manca qualcuno per i tornei di calcetto di Pietrangeli.
D’altronde, sono solo i primi anni ’60: ci penserà la storia futura a decidere quale sarà il posto che spetta ad “Ascenzietto” nel mondo del tennis…
Nel 1968 il locale più “in” a Roma è il Piper: tra un torneo a Tre Fontane e un allenamento al Circolo Parioli, è proprio nella celebre discoteca capitolina che Panatta va a sfoggiare i suoi maglioncini corti con il collo a V sulla musica del suo gruppo preferito, i Rokes; porta i capelli lunghi sulla sua faccia da ragazzino e va a fare spese nei negozietti intorno a Piazza Euclide.
Adriano è il tipico giovane ribelle di quegli anni e forse per questo la Federazione non lo manda a Parigi, a giocare il Roland Garros proprio durante le contestazioni del maggio francese.
“E che vai a ffà?” gli chiedono. “Vuoi fa’ casino pure te?”
A lui non dispiacerebbe affatto, ma in cambio viene spedito a Londra a giocare il torneo juniores di Wimbledon: alloggia in un college dove è vietato uscire dopo le sette e allora lui impara a scassinare porte e finestre per fuggire di nascosto e andare a ballare. Spopola nei locali per via di una discreta somiglianza con il Beatle Paul McCartney e se la cava bene sui verdi campi di Wimbledon. Arriva in semifinale e perde contro un giovane australiano di nome Alexander.
Di quell’incontro, ricorda ancora oggi la forte sensazione che – da quel momento in poi – il tennis sarebbe diventato per lui una parte fondamentale della sua vita. Anzi, la più importante.
Tra i mille racconti che affollano la memoria di Adriano Panatta, spiccano senza dubbio quelli relativi ai suoi esordi, ai primi anni in giro per il mondo, tra campi da tennis e locali del jet set. In una delle sue incredibili trasferte, durante un viaggio in California con Nicola Pietrangeli, Panatta ricorda di essere finito ospite a casa di Anthony Quinn, grande appassionato di tennis.
Il soggiorno è fatto prevalentemente di giri a tutta velocità sulla Maserati Quattroporte dell’attore americano, di ristoranti lussuosi e di alcol a volontà. Incantato dalla situazione decisamente sopra le righe, Panatta è così profondamente impegnato a studiare la gestualità del grande divo e i suoi atteggiamenti da star, che quasi non si accorge che lui gli ha porto un bicchiere di tequila aspettandosi di vederglielo bere tutto in una volta.
“Non bevo, sono astemio” confessa Panatta, ma Quinn non ne vuole sapere: non è previsto rifiuto ad un invito del genere. “Tutti bevono”, insiste l’attore continuando a porgergli il bicchiere.
Panatta continua a rifiutare, un po’ imbarazzato e un po’ incuriosito, quando Anthony sfodera a sorpresa una frase da vero repertorio cinematografico, a cui è realmente difficile controbattere: “Un vero uomo in ristorante messicano beve solo vera tequila”.
Così, di fronte a un’affermazione del genere, al povero Adriano non resta che bere da quel bicchiere così cocciutamente presentato: beve, non regge, si ubriaca, si riprende tre giorni dopo.
Al grande Antony Quinn, invece, non resta che commentare, scuotendo sconsolatamente la testa: “Ma si è mai visto un uomo che non beve tequila?”
A prescindere dai rapporti con l'alcol, Panatta è un tennista atipico, sin dai suoi esordi: lui e i suoi “soci” non appartengono alla generazione dei raccattapalle, ovvero quei ragazzi che per togliersi dalla strada hanno iniziato a lavorare nei circoli di tennis. Lui è figlio di un custode ma ha studiato, come Zugarelli; Bertolucci viene da una famiglia di tennisti, Barazzutti da una di ferrovieri. Tutti e quattro sono diventati famosi presto e hanno lasciato gli studi solo per diventare professionisti.
Fanno una bella vita, viaggiano e conoscono molta gente: già a ventidue anni, Adriano fa coppia con una giovane romana, Patrizia Vistarini, che tutti conoscono con il suo nome d’attrice Mita Medici e che ogni tanto lo porta a fare qualche provino con grandi registi.
Qualche anno più tardi, però, Adriano viene fulminato a Montecatini da una visione che cambierà la sua vita: una ragazza dai lineamenti mediterranei scende la scalinata del Grand Hotel Tamerici e gli sorride, mentre lui capisce di essere destinato a sposarla – testimone un incredulo Bertolucci.
La ragazza – Rosaria, 19 anni – è già impegnata ed ha dei genitori a dir poco “d’altri tempi”; ma con l’aiuto del fedele Bertolucci, Adriano riesce a trascinarla in un’appassionata relazione clandestina… che dura fin quando il futuro suocero sorprende gli amanti al casello dell’autostrada!
Adriano non si fa prendere dal panico e si appresta baldanzoso a presentarsi: “Piacere, sono Adriano Panatta e sto uscendo con sua figlia”. Unica risposta: “A casa a mezzanotte.”
Allora, prova a rilanciare: “Rosaria viene con me, a Roma”.
Di nuovo, unica risposta: “Falla studiare.”
Adriano accetta le sue condizioni, senza fiatare: nasce così la strana coppia del tennista e della fanciulla di buona famiglia, che andava al liceo a bordo di una Porsche decappottabile.
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