Infatti, confessa spesso Panatta, a nessuno va mai bene la risposta che lui dà. Non si può preferire Parigi a Roma, Santiago del Cile è troppo lontana, tutto sommato sarebbe stato più bello vincere Wimbledon…insomma, ognuno sceglie la propria verità.
In realtà, per Panatta non c’è una risposta più sincera o più giusta delle altre, come quando da bambini si pretende di scegliere se si vuole più bene alla mamma o al papà; anche se il Roland Garros è il torneo che gli ha dato più soddisfazione e più fama, molto probabilmente non sarebbe mai stato suo se non fosse stato preceduto dal successo di Roma. Allo stesso modo, la vittoria in Cile non sarebbe mai giunta, se non fosse stata anticipata da Parigi. Insomma, un bell’intreccio di ricordi ed emozioni tra cui per chiunque sarebbe arduo districarsi, se non fosse per un aneddoto in particolare a cui Panatta sembra più affezionato.
È il primo turno del Roland Garros e Adriano si trova a fronteggiare il cecoslovacco Pavel Hut’ka, un avversario difficile da contrastare: il campione romano è distratto, reduce dal successo degli Internazionali di Roma, sbalestrato dagli eventi positivi dell’ultimo periodo. Nonostante tutto, però, non cede alle difficoltà emotive e mantiene la concentrazione; nel momento cruciale della partita, in cui si trova costretto ad annullare un match point, Adriano decide di servire e andare direttamente a rete: la palla finisce fuori. Panatta, sfrontato e lucidissimo al tempo stesso, ripete l’attacco sulla seconda di servizio. Hut’ka risponde con un pallonetto, Adriano prosegue con una veronica, ovvero uno spettacolare smash dorsale, battezzato così dal grande Rino Tommasi per l’analogia con il gesto che compiono i toreri per far volteggiare la cappa davanti al toro. Il colpo è geniale e ha un tempismo eccezionale. Il pubblico va in delirio. Panatta acquista sicurezza. Il ceco non si lascia destabilizzare e tenta un passante di rovescio davvero stretto. Panatta reagisce tuffandosi e, in allungo, arriva a toccare la palla che supera di un millimetro la rete per poi andarsi a smorzare subito sotto, trasformandosi in un punto praticamente imprendibile.
Il primo ad accorgersi del valore di quella veronica è Gil de Kermandec, celebre regista di documentari sul tennis, il quale comunica subito ad Adriano che – nel caso di sua vittoria nel torneo – ha intenzione di collocare le immagini di questo colpo all’inizio del film che girerà per celebrarlo. E manterrà la parola. Perché Adriano ha il vento in poppa, è animato da una sicurezza quasi innaturale che da quella veronica in poi gli farà giocare ogni singolo punto sapendo di poterlo vincere. Vince il quinto set contro Hut’ka con il punteggio di 12-10; poi batte Jun Kuki, Hiri Hrebec e Željco Franulović nei seguenti tre turni. Ai quarti incontra Bjorn Borg, che elimina in quattro set, continuando una marcia trionfale che sembra non avere fine. Prosegue poi sempre al ritmo di “un colpo, un punto”, eliminando in semifinale il “socio” di Harold Solomon, Eddie Dibbs, Panatta arriva in finale e gioca contro lo stesso Solomon in un clima senza pari: da quella veronica in poi, Roland Garros è diventato un torneo di sua proprietà. Il pubblico è indiavolato come se si trattasse di quello di Roma e lui viene da una serie positiva di ben dodici vittorie consecutive che lo fa sentire imbattibile. Non ci sono avversari, fatica o scarpe sbagliate che possano fermare Panatta nella conquista dei campi del Bois de Boulogne: il va a gagner – come gli ha sempre pronosticato il suo assistente di campo di fiducia – e come lui ha sempre saputo, forse proprio dall’inizio del torneo.
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