Alla riapertura delle borse europee il leitmotiv è stato pressappoco lo stesso: flessione in apertura e recupero nella mattinata. In particolar modo il Ftse-Mib (indice che racchiude le quotazioni delle principali 40 società italiane) ha prima perso quasi due punti percentuali per poi recuperarli nel corso della mattinata. Come fu per la Brexit, com’è stato per Trump, dietro questi istantanei movimenti finanziari si ritrova la mano degli speculatori. Seppur in maniera più lieve rispetto agli eventi precedenti, gli effetti sui mercati finanziari globali della vittoria del NO seguono gli stessi trend: pressione ribassista nelle settimane precedenti al voto, rimbalzo delle borse a ridosso dell’appuntamento elettorale. A differenza degli investitori a lungo termine, che non vedono di buon occhio il rischio, gli speculatori a breve cercano di guadagnare laddove intravedono instabilità ed incertezza e, di certo, gli appuntamenti elettorali tanto incerti quanto importanti sono il loro cavallo di battaglia. È il caso dei titoli di stato italiani, soggetti a forti ribassi durante il mese di novembre con uno spread in rapida ascesa fintantoché non si è arrivati a ridosso del voto. Oggi, lo spread è balzato da 160 punti base ad un massimo di 175 punti base per poi stabilizzarsi a 168: un aumento che, se paragonato ai valori massimi del mese di novembre (188.3 punti base il 24 novembre), è poca cosa. Il più colpito dal referendum italiano, invece, è l’euro. La moneta dell’Eurozona, infatti, ha inizialmente accusato il colpo raggiungendo dopo le dimissioni di Matteo Renzi il minimo annuo (pari al secondo record negativo da 5 anni a questa parte) per poi recuperare solo in un secondo momento. Per la moneta unica europea sarebbero difficili da sopportare, in pochi mesi, elezioni politiche in Francia, Germania ed Italia.
Perché gli effetti del No non sono stati catastrofici
Una variabile da non trascurare per ponderare gli effetti del voto sui mercati è la vittoria alle elezioni presidenziali austriache dell’economista verde Van Der Bellen. Il neo presidente austriaco ha infatti sconfitto i nazionalisti: gli effetti di una vittoria dell’establishment, evento più unico che raro di questi tempi, hanno infatti ammorbidito i timori degli investitori internazionali. Inoltre, in realtà il referendum italiano è stato uno dei pochi appuntamenti elettorali in cui sia i sondaggi che gli exit poll si sono rivelati corretti. Questo ha permesso agli speculatori di tutelarsi ulteriormente.
Seppur in ombra, anche la BCE ha contribuito ad attenuare gli effetti del referendum: i rendimenti dei titoli di stato italiani, infatti, non hanno avuto forti oscillazioni anche per via della politica espansionistica di Mario Draghi che, si presume, sarà allungata. Il Tesoro italiano, dunque, potrà ancora disporre della politica espansionistica senza dover ritoccare eccessivamente i prezzi dei titoli italiani.
Niente panico, dunque, dopo la vittoria del No: nel breve periodo le reazioni al voto non saranno catastrofiche. Resta da sciogliere il nodo del governo dopo le dimissioni di Renzi per ridare stabilità politica al Paese. Stabilità è, infatti, la parola chiave per un Paese come l’Italia che per ripartire ha bisogno di sbrogliare parecchie matasse: dalla ricapitalizzazione della Montepaschi alla disoccupazione, dal risanamento del settore bancario alla questione dell’immigrazione. Ma, soprattutto, la sfida più grande per il prossimo governo sarà quella di rendere coeso a livello sociale un popolo sempre più lacerato dalla dialettica separatista imperante nella politica odierna.