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libreria economia

13 Feb 2017

Aumenta la disuguaglianza, un lavoratore su due guadagna meno dei suoi genitori alla stessa età

Scritto da

La disuguaglianza di redditi è uno dei virus più nocivi per l’economia globale: se nel 1970 solo un lavoratore su 10 guadagnava meno di quanto facessero i suoi genitori alla stessa età, oggi la percentuale di questo tipo di lavoratori è salita fino al 50%.

Riconosciuta come uno dei motivi per cui l’economia mondiale va a rotoli anche da buona parte delle elitè finanziarie, combattere la disuguaglianza è una delle sfide con cui tutte le classi politiche mondiali si devono confrontare nei prossimi anni.

Dagli anni 20 dell’800, secondo una ricerca della Banca Mondiale, la disuguaglianza è costantemente aumentata senza mai arrestarsi. Solo negli ultimi anni ha subito una lieve battuta d’arresto dovuta al boom dell’economia cinese ed indiana. Non tutti sono d’accordo, però. Uno dei più influenti imprenditori della Silicon Valley, Paul Graham, si dice convinto  della bontà della disuguaglianza economica. Secondo quest’ultimo, infatti, la disuguaglianza è dovuta al diverso grado di produttività di ogni uomo, al diverso grado di istruzione e di intelletto: avere salari così diversi sarebbe sintomo di una società a due velocità, in cui i migliori vengono premiati.

Un discorso basico sulla meritocrazia, motore di tutte le economie capitaliste. Discorso che stride con la realtà dei fatti, che vede una società in cui i figli guadagnano in media meno dei propri genitori e in cui studiare e curarsi costa sempre di più. Stando così le cose il sogno di una scalata sociale diventa un feticcio. Secondo una ricerca del Fondo monetario Internazionale (Causes and Consequences of Income inequaity: a global perspective) il problema della disuguaglianza non riguarda solo le classi più povere: un alto tasso di disuguaglianza farebbe diminuire infatti il tasso di crescita. In una società in cui fornire un’ educazione di qualità ai giovani costa sempre più e, in un mercato del lavoro high skilled, questo fattore fa diminuire gli investimenti nel proprio capitale umano. La diminuzione degli investimenti, in termini economici, viene associata ad un tasso di crescita reale inferiore rispetto a quello potenziale. Sommando questo fattore ai maggiori conflitti sociali crescenti laddove la disuguaglianza è alta, la crescita dell’economia di un paese non può che essere influenzata negativamente da alti tassi di disuguaglianza, come mostrato egregiamente dagli economisti del FMI.

Un’altra via, però, è possibile: come osservato dal premio Nobel per l’economia Paul Krugman sul New York Times, una maggiore redistribuzione non disincentiva la creazione di imprese e di ricchezza, principale preoccupazione per gli imprenditori come il sopracitato Graham. È il caso della Svezia, citato da Krugman perché il paese scandinavo riesce a far convivere un invidiabile social welfare ed un tasso di nascita di starts-up superiore rispetto a quello USA (10,5 svedese rispetto al 7,41 statunitense, report OECD). Questo è possibile solo tramite una pressione fiscale elevata, quasi al 44%, che permette di erogare diversi servizi che attenuano il rischio d’impresa.

L’esempio svedese mostra come crescita, maggiore uguaglianza e spirito imprenditoriale innovativo possano coesistere. Vanno messe in conto, però, anche le particolarità del sistema svedese: uno Stato piccolo, con un livello di evasione fiscale basso, in cui la cultura del pagare le tasse per avere servizi accessibili a tutti funziona da sempre. Per combattere la disuguaglianza bisogna sconfiggere anche quella retorica che identifica nelle tasse il male assoluto da sconfiggere.

openknowledge.worldbank.org
www.imf.org
observatorio-lisboa.eapn.pt
www.paulgraham.com
www.nytimes.com
www.vox.com
www.economist.com

Sergio Inferrera

Messinese, iscritto al corso di laurea in Economia all'Alma Mater Studiorum di Bologna, appassionato al mondo della politica, dell'economia e dello sport

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