Come si inserisce tutto questo nella più ampia gestione della CSR, ovvero Responsabilità Sociale di Impresa? Una impresa che adotta un Modello Organizzativo 231 è davvero più socialmente responsabile di una che non lo adotta?
Ci si pone tutte queste domande in ragione della natura del provvedimento, introdotto dal legislatore nazionale nel 2001, e quindi con più di 15 anni di esperienza alle spalle. Il vero e reale problema è il carattere volontaristico della adozione del Modello Organizzativo, ovvero la sua dimensione facoltativa. Le imprese non sono minimamente obbligate a dotarsi di un modello organizzativo. Però, se viene commesso un reato, nella condotta di un apicale o di un subordinato, e l'azienda non dimostra di averlo adottato e perseguito, a suo carico vengono presi provvedimenti e comminate sanzioni che ne possono minacciare, in ultima istanza, l'esistenza.
Infatti il Modello di organizzazione, gestione e controllo, così come definito dal D.Lgs. 231/2001 rappresenta l'insieme delle regole e delle procedure organizzative dell'ente volte a prevenire la commissione di reati identificati dalla legge stessa. Infatti non vi sono tutti i reati tipizzati dal Codice Penale che devono essere presi in considerazione, ma solamente quelli indicati dal Decreto stesso. È di tutta evidenza che l'approvazione e l'implementazione (perchè la sola approvazione non basta) di un Modello idoneo a prevenire reati costituisca causa di esclusione o limitazione della responsabilità dell'ente, ex D.Lgs. 231/2001. L'efficacia del modello stesso ne traccia la dimensione qualitativa. Per questo motivo l'ente che decide di dotarsi, per i più svariati motivi, di tale Modello dovrà essere sottoposto ad un approfondito studio, alla analisi della propria posizione, partendo dal proprio business fino ad arrivare alle certificazioni di cui è già in possesso, che sottendono l'esistenza necessaria di procedure che potrebbero essere fatte proprie dal modello organizzativo stesso. Insomma, il Modello esimente non è assolutamente un elemento riproducibile ugualmente ed indistintamente per tutti gli enti, e il consulente che lo predispone dovrà essere come un sarto: dovrà confezionare un abito adatto alle esigenze del proprio cliente.
Pertanto il modello deve essere efficace, ovvero si deve esaminare l'organizzazione aziendale e le responsabilità correlate, per identificare in modo corretto e coerente quali aree di rischio dei reati presupposto sussistano. Al termine quindi di tutta questa attività preventiva, ci si occupa della redazione del Modello Organizzativo in senso stretto. Tale modello, all'esito dei controlli di legge ma sopratutto del Risk Assesment (attività volta a mappare le aree di rischio della commissione dei reati, ma anche del livello di prevenzione già in essere, se esistente), integrerà le procedure aziendali già presenti e ne introdurrà delle nuove. Le operazioni e le decisioni aziendali dovranno conformarsi quindi a queste nuove procedure che permetteranno all'ente di difendersi in caso di accertamento di un reato commesso a proprio vantaggio da parte di organi aziendali. Come tutte le regole, il Modello Organizzativo, tracciate le procedure, dovrà anche prevedere un sistema sanzionatorio volto a punire chi le regole le infrange, ma soprattutto individuare le risorse finanziarie che dovranno servire a chi controlla sulla adozione e sulla efficacia del modello stesso di svolgere il proprio lavoro, sia in fase ordinaria (controllo generale) sia in fase straordinaria (modifica del modello e/o introduzione di nuovi reati presupposto e/o studio di problematiche particolari che richiedono la consulenza di soggetti esterni esperti).
L'efficace attuazione è condizione necessaria e sufficiente affinchè il Modello esplichi la propria funzione esimente. La stessa passa dalla istituzione di un Organismo di Vigilanza, che ha l'incarico di vigilare in modo indipendente sul corretto funzionamento e sulla osservanza dello stesso.
Dalla natura della impresa e dal Risk Assesment deriva necessariamente la modalità di composizione dell'Organismo, che dovrà essere valutata caso per caso, in ragione di quanto sopra detto. L'azienda deve mettere in grado l'Organismo, attraverso l'indipendenza e la autonomia di spesa e quindi di risorse finanziarie, di adempiere efficacemente ai propri compiti. Vi dovrà essere la codifica di flussi informativi da e verso l'Organismo di Vigilanza, in modo da verificare fattivamente l'efficacia e l'adozione del modello e poter individuare più profondamente i miglioramenti che si rendessero necessari per rafforzarne l'azione.
In tutto questo, il Codice Etico funge da vera e propria “dichiarazione volontaristica”, costituzione dei principi della singola azienda, che deve dare non solamente la mission, ma la vision della stessa, nei confronti di tutti gli stakeholders, istituzionali e non, che circondano l'azienda stessa.
All'interno della implementazione della informazione non finanziaria e della adozione di bilanci sociali, come si può inserire quindi la stesura del Codice Etico finalizzato alla costruzione del Modello Organizzativo? Sono due facce della stessa medaglia? A questo proveremo a dare risposta negli articoli successivi. Per il momento possiamo solamente dire che la complessità della Responsabilità Sociale di Impresa la si intravede in un Giano bifronte: l'obbligo di legge contro la dichiarazione volontaristica. E, nella situazione attuale, non si può certo dire che vinca uno dei due.
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