Già i saggi latini dicevano “Corruptissima republica, plurimae leges” (Publio Cornelio Tacito). Tutto questo a significare come le leggi fossero tante in uno Stato molto corrotto. Ed è questo che rischiamo di avere nel nostro paese: una corruzione che, secondo i dati macroeconomici, è alle stelle ed un livello di legislazione talmente profondo e complesso che non riesce a combattere questi processi, anzi, se mai li amplifica. Questo discorso può, nella sostanza delle cose, essere anche calato sulla legislazione tributaria. Negli ultimi decenni abbiamo assistito, dopo la rivoluzione copernicana del 1972-1973, ad un continuo proliferare di leggi e regolamenti, che tendono a rafforzare o a sostituire il precedente dettato normativo, aggiungendo complessità, producendo carte e burocrazia, oltre che scadenze, cui devono fare fronte i professionisti, assieme ovviamente ai clienti, siano essi persone fisiche o imprese. Tutto questo ovviamente con il giano bifronte della Amministrazione Finanziaria, che da un lato deve assicurare la massima inflessibilità nella applicazione delle norme, dall’altro garantire dei principi improntati alla correttezza nei rapporti con i contribuenti, sanciti dallo Statuto dei Diritti del Contribuente. Questa sovra produzione normativa, con rinvii, deroghe, proroghe, norme non meramente imperative, ha creato un sistema in cui la certezza del diritto, soprattutto, viene sempre meno.
Ecco che quando, recentemente, il governo ha parlato di Legge Delega fiscale a tutti è sembrato il classico “gioco di stile” degli ultimi decenni e nessuno ha creduto ad un vero rinnovamento in tal senso. Insomma, ultimamente, era sembrato che si inserissero nuovi ingranaggi nella macchina burocratica, che aumentavano la complessità senza dare beneficio né immediato né futuro al nostro paese. Nella sostanza invece, dopo qualche mese dall’entrata in vigore dei decreti emanati nel 2015 sulla base della delega fiscale (Legge 23/2014), se non si possono toccare ancora con mano effetti concreti, si può pensare di fare un po’ il punto dello stato dell’arte. Sicuramente gli interventi sono di una pesante manutenzione sul sistema tributario italiano, che deve passare necessariamente da una progressiva riduzione della pressione fiscale, ma anche e soprattutto da un deciso e netto miglioramento dei rapporti tra il fisco e il contribuente. E questo si ottiene solo e soltanto aumentando la chiarezza normativa e la certezza del diritto, per dare la possibilità a investitori nazionali, ma soprattutto esteri, di continuare a credere in questo paese, senza dover pensare di inserirsi in un ginepraio fiscale che scoraggerebbe anche il più inguaribile degli ottimisti.
Insomma, dalla entrata in vigore della Legge 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), sembra che per la prima volta ci sia la netta volontà del legislatore e dell’esecutivo di porre in essere comportamenti atti ad applicare, seppure in parte, le normative contenute nello Statuto stesso. Anzitutto facendo caposaldo il principio dell’art. 10, ovvero la tutela dell’affidamento del contribuente, principio basico nella determinazione di un rapporto fisco-contribuente il più improntato alla collaborazione ed alla fiducia. Una nuova stagione è cominciata, soprattutto con riferimento alla nuova disciplina di contrasto all’abuso del diritto, molto meglio perimetrata e disciplinata. Tutto questo, letto in combinato disposto con il cd “nuovo ravvedimento” o “ravvedimento lungo”, significa un miglioramento dei rapporti, ma anche e soprattutto la necessaria determinazione dei confini di liceità del comportamento da parte del contribuente, che ora non può sicuramente più vivere, almeno da questo punto di vista, nella incertezza. Quindi, se da un lato lo Stato concede e concederà una primaria apertura di credito verso il contribuente, d’altro canto lo stesso dovrà dimostrare di meritarsela. Ma questo lo vedremo solo col tempo.
Nonostante l’ottimismo che permea questa nostra riflessione, questo deve essere considerato solo un primo, piccolo, punto di partenza. Le cose da fare, anzi, da riformare, sono tante. A partire dalle norme fiscali più operative. La semplificazione che tanto si decanta da anni ancora non è partita. Gli esempi del 730 precompilato, giunto al secondo anno di applicazione, e dell’UNICO che sta per debuttare, ci fanno dire come la semplificazione, di fatto, non ci sia stata. Infatti si sono prodotte storture e raddoppi di lavoro soprattutto per i professionisti, che si trovano ad essere sempre più “braccio operativo” del Fisco e sempre meno consulenti al servizio dei propri clienti. Tra i tanti raddoppi, si pensi soltanto al sistema delle Certificazioni Uniche e al Modello 770, che nella sostanza parlano la medesima lingua dal punto di vista dei contenuti.
Sulla certezza del diritto e sulla semplificazione c’è ancora tanto da fare, anche se gli ultimi decreti delegati vanno sicuramente nella giusta direzione. Una strada che finalmente è stata intrapresa, ma che non si deve assolutamente smettere di percorrere, onde evitare di cadere nell’errore di aver fatto solamente un “esercizio di stile” e alla consapevolezza di non aver cambiato, nella sostanza, nulla. Le imprese, i professionisti e i cittadini chiedono norme più semplici e chiare, ed è giunto il momento di sfruttare questo nuovo slancio.