Una domanda che sembra estranea all'immaginario normativo nazionale, secondo il quale, in genere, l'italiano medio tende ad adeguare i propri comportamenti alla norma non sulla base di un mero spirito volontaristico, ma piuttosto su una imposizione netta e decisa. Infatti l'impianto normativo che disciplina l'adozione e l'aggiornamento del Modello Organizzativo 231 si basa sul concetto di autovalutazione, e quindi di autocontrollo.
Il Disegno di Legge presentato in Senato poche settimane fa si appresta, se approvato, a rivoluzionare in modo radicale la gestione di tali strumenti di direzione e controllo, ponendo il modello su un piano superiore rispetto a quanto non lo sia già in determinate realtà (si pensi, per esempio, a quelle che operano in maggioranza col pubblico). Non si vuole stravolgere l'impianto normativo: infatti l'autocontrollo rimane in tutto e per tutto, ma si rafforza la modalità di adozione del modello.
Ad oggi l'unica “molla” che può far scattare la voglia di adottare tale modello è legata all'importante e pesante sistema sanzionatorio in caso di mancata adozione del modello, sia per l'azienda sia per chi non decide di adottarlo, nonostante ce ne sia bisogno. In questa ultima affermazione si racchiudono alcuni orientamenti giurisprudenziali che rendono corresponsabili amministratori e sindaci per la mancata adozione di un modello 231 laddove si dimostrasse che ce ne sarebbe stato bisogno. Il risk assesment assume quindi una centralità fondamentale per discernere questa necessità o meno. Vi è da dire che in alcuni casi la volontà si trasforma in obbligo implicito, in quanto alcune legislazioni regionali lo prevedono come requisito preliminare se si vuole lavorare, in ogni modo, con la Pubblica Amministrazione. Ma non solo. Nel 2012 è stato introdotto il rating di Legalità, uno strumento importante per premiare chi fa della legalità un principio fondante della propria azione. Il proprio funzionamento prevede che, a fronte del rispetto di determinate condizioni, si assegni un punteggio, determinato con “stelle”, che premia chi è maggiormente virtuoso. Vi sono inoltre casi di partecipazione a gare di appalto dove l'avere adottato il modello organizzativo 231 è motivo di avanzamento nelle graduatorie per la vittoria della gara stessa.
Sono 17 anni che la normativa 231 ha fatto per la prima volta la propria apparizione nel panorama giuridico nazionale, e i risultati, misurati in termini di adozione del modello, sono alquanto deludenti. Il che non significa che non ci sia posto il problema (infatti vi sono numerosi documenti di prassi messi a disposizione da associazioni di categoria per propri iscritti e non), semplicemente se ne rinvia sempre più spesso la risoluzione. Vi è da dire, però, che la giurisprudenza ha raggiunto livelli di consapevolezza importanti.
Sul solco di tutto ciò si inserisce una necessità di adeguamento normativo delle imprese. Infatti il Disegno di Legge 726 presentato il 30 luglio 2018 da un gruppo di Senatori va in questa direzione. Nelle pieghe dei motivi introduttivi per tale proposta di legge vi è proprio la sentita necessità di “assegnare all'ordinamento basi ancora più solide perchè si sviluppi una cultura della legalità di impresa e della prevenzione di ogni stortura e abuso della iniziativa economica privata e pubblica”. Pertanto la proposta prevede la obbligatoria adozione di modello organizzativo 231 per tutti quei soggetti collettivi, come ad esempio società di capitali, cooperative e consortili che superino limiti dimensionali importanti, fissati dalla legge. Pertanto, secondo le proposte di modifica della norma, i soggetti che, anche solo in uno degli ultimi 3 esercizi, abbiano conseguito un attivo dello stato patrimoniale non inferiore a € 4.400.000, o ricavi di vendite e prestazioni pari o superiori a € 8.800.000, nonché le società controllanti ai sensi dell'art. 2359 C.C. di una o più srl, spa, sapa, cooperative che hanno raggiunto o superato i detti limiti dimensionali, dovrebbero approvare con delibera dell'organo amministrativo o dell'assemblea dei soci l'adozione del modello organizzativo 231 e nominare l'organismo di vigilanza. Il verbale di nomina dovrebbe essere depositato, nei 10 giorni successivi, presso la Camera di commercio di riferimento (cosa che adesso non accade). L'articolo 2 di tale proposta, rubricato “sanzioni”, recita che l'inosservanza di tale obbligo comporterebbe una sanzione amministrativa di € 200.000, applicata anche nel caso di mancata nomina dell'organismo di vigilanza. La medesima sarebbe applicata per ciascun anno solare in cui permane l'inosservanza di entrambi i detti obblighi: mancato deposito e mancata nomina dell'organismo di vigilanza. Qualora il deposito della delibera avvenisse tardivamente, la sanzione amministrativa sarebbe di € 50.000. secondo l'articolo 3, si lascerebbe un lasso temporale di adeguamento fino al 30.10.2019, momento in cui si potrebbero cominciare a comminare le sanzioni di cui sopra.
L'iter legislativo è partito, e sarà di grande interesse seguirlo. La norma 231 si pone tra legge ed etica, e all'interno del sempiterno discernimento tra i due. L'etica di impresa non si può di certo imporre per legge, ma quest'ultima può fornire strumenti importanti per favorirne l'applicazione.
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