Il tennis è un gioco ricco di tanti elementi, spesso non propriamente agonistici, come il glamour, le storie d’amore e quelle d’odio. È un mondo da scoprire, a livello internazionale come pure a livello cittadino. Soprattutto, se la città in questione è Roma e i suoi abitanti sono i romani.
“Io sono stato il maestro del Duce”, diceva spesso Mario Belardinelli.
A volte buttava lì la frase, senza nemmeno mettersi ad aggiungere troppi dettagli, senza sentirsi in dovere di aggiungere che fosse il tennis, la disciplina in questione. Il Signor Mario – come tutti lo chiamavano – adorava ripescare quegli esordi della sua carriera, infilarli nella conversazione proprio quando l’interlocutore non se lo sarebbe mai aspettato e rimanere ad osservare l’effetto che ogni volta poteva suscitare la suddetta rivelazione. Belardinelli era un uomo autentico, speciale, forse il migliore che si possa raccontare per spiegare cosa fosse il tennis a Roma quasi un secolo fa.
Era nato a Roma il 15 settembre 1919, e con il suo maglione, le sue scarpe da tennis e il suo berretto da pescatore schiacciato in testa ha attraversato la storia del tennis italiano che, proprio grazie a lui, ha vissuto il momento del massimo trionfo.
È stato giocatore, aggiudicandosi sei titoli italiani fra il 1947 e il 1951 (due di doppio con Rolando Del Bello e quattro di doppio misto con Nicla Migliore), ma soprattutto è stato un indimenticabile maestro, annoverando fra i suoi allievi i quattro eroi della Coppa Davis 1976 – Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli – ma soprattutto un ormai anziano Benito Mussolini.
Di lui amava raccontare: "Fu Bruno Mussolini a chiedermi di insegnare tennis al papà. Andai a Villa Torlonia. Il Duce aveva 56 anni, col dritto se la cavava, ma nel rovescio era zero". Un giorno azzardò la temuta proposta: “Duce, vogliamo provare il rovescio?” Mussolini lo osservò senza parlare, poi – baritonale come sempre – tuonò: “Camerata Belardinelli, noi tireremo sempre dritto!”
Tra gli innumerevoli e rinomati circoli tennistici della capitale, forse non sarà il più antico, forse non sarà il più blasonato, ma il Circolo Tennis Parioli è sempre stato e sarà sempre il più popolare. Viene considerato un’icona, quasi un monumento e per tutti è sicuramente il luogo dove hanno cominciato a scambiare le prime palle i nostri due eroi tennistici nazionali, Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta.
Proprio quest’ultimo ama raccontare come il Parioli, nei gloriosi tempi che furono, era l’anima “in” della capitale: nasce con quello che viene vissuto quasi come uno scisma per il mondo sportivo capitolino dell’epoca, da una costola dell’antico Tennis Roma.
Qui rimangono gli esponenti della blasonata nobiltà tennistica; nella nuova realtà di Viale Tiziano emigra invece la trincea rampante della nuova borghesia italica. Quella che gioca ai Parioli è la cosiddetta bella gente, giovanotti allegri e ambiziosi: ragazzetti che si divertono a sfidarsi all’ombra dello Stadio Flaminio, quasi senza vedere che – da dietro allo spiazzo dove nel 1960 sarebbe sorto il Villaggio Olimpico fino alle sponde del Tevere – si stendono solo baracche e miseria. Mai immagine potrebbe rendere meglio la Roma di quegli anni che, nel giro di pochi metri, riesce a dare il peggio e il meglio di sé.
Come tutti i circoli che si rispettino, anche il Parioli ha il suo custode: di nome si chiama Ascenzio e di cognome fa Panatta. Non è difficile intuire che di lui parleremo più volte, in questo racconto...
Human Europe Capital è un sito di lettura. I professionisti e gli appassionati di una disciplina possono pubblicare i loro studi, le loro riflessioni e i loro racconti.
È un generatore di idee e di spunti di riflessione. Gli articoli nelle materie indicate possono essere tecnici o generalisti. Per addetti ai lavori o per tutti.
Human Europe Capital siamo tutti noi uniti. Anche con pensieri e idee diverse.
Per info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.