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libreria giurisprudenza

03 Ott 2016

La natura dell'indennità dell' amministratore di sostegno

Scritto da

L’amministratore di sostegno è, come noto, una figura istituita per quelle persone che, per effetto di infermità o menomazione fisica o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale e/o temporanea, di provvedere ai propri interessi. La figura è stata introdotta con la legge 9 gennaio 2004 n. 6.

Gli uffici di protezione giuridica degli incapaci, in particolare l’amministrazione di sostegno, sono volontari e pertanto gratuiti (art. 379, comma I, c.c.). Ciò nondimeno, vale la generale regola che il giudice può riconoscere una indennità all’amministratore di sostegno (art. 411, comma I, c.c., che richiama l’art. 379 c.c.) considerando l'entità del patrimonio e le difficoltà dell'amministrazione.

L'indennità, non avendo carattere retributivo, va intesa come rimborso delle spese sostenute e dei mancati guadagni dell'amministratore che, stante l'impegno profuso, non ha avuto la possibilità di occuparsi, pienamente, della cura dei propri interessi.

Anche secondo la lettura interpretativa, autorevolmente fornita, della Corte costituzionale (Corte Cost. 6 dicembre 1988 n. 1073) l’equa indennità “non ha natura retributiva, ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore a cagione dell'attività di amministrazione del patrimonio del pupillo, alla quale l'ufficio tutelare lo obbliga personalmente senza possibilità di nominare sostituti”.

La norma di legge, per altro, non esclude alcuna categoria di soggetti che possano ottenere l’indennità: nel silenzio legislativo, parrebbe che chiunque possa ottenerla, comprendendo, con ciò, sia i professionisti sia coloro che, privati, famigliari ad esempio, vengano chiamati a svolgere l’ufficio.
Secondo il Giudice delle Leggi, dunque, si prevede una “riparazione” del patrimonio del rappresentante, mediante ristoro in denaro. Tal somma dovrebbe avere la funzione di compensare e ristorare per le attività perdute e le spese sostenute: la funzione è, quindi, meramente riparatrice. Da qui, parrebbe preferibile l’inclusione dell’importo nell’ambito delle indennità a carattere non retributivo.

Va rilevato che, sulla scia della sentenza della Corte Costituzionale sopra menzionata, con la sentenza n. 7355 del 1991, la Corte di Cassazione ha ribadito che il concetto di indennità ut supra non va confuso con corrispettivo, ma eventualmente a “ristoro”. Anche se esso dovrà certamente essere “apprezzabile e non meramente simbolico”.
Come noto, però, una Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (n. 2/2012) ha optato per la soluzione opposta ritenendo che l’indennità rappresenti, sotto il profilo dell'applicazione della normativa tributaria, compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell'art. 53 del testo unico della imposte sui redditi e quindi rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633.
La risoluzione è stata (ed è ancora) particolarmente criticata. Già con provvedimento del 20.3.12, il Tribunale di Varese nella persona del dott. G. Buffone, si esprimeva evidenziando che la mera opinione dell’Agenzia delle Entrate non ha valore normativo e non può vincolare l’attività interpretativa del Giudice.

E’ impensabile, per altro, un trattamento nettamente diversificato a seconda della qualità soggettiva della persona chiamata a svolgere la funzione di amministratore: di sostegno: sia esso un professionista (e pertanto obbligato a fatturazione) sia esso un non professionista.

 

Carlotta Toschi

Avvocato in Bologna, si occupa prevalentemente di diritto penale ed è cultrice di diritto europeo dell'immigrazione presso la facoltà di Giurisprudenza, università di Modena - Reggio Emilia.

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