Tramite applicazione ci corde corsetti o bavagli, si limita l'uso del corpo o dei sensi. Il tutto basandosi sul consenso dei partecipanti a sottomettersi e / o a essere dominati.
Fondamentale, nella breve disamina odierna, è la Giurisprudenza CEDU che, con pronuncia 17.2.2005, ha messo in chiaro che la libertà sessuale di un soggetto trova limite nella volontà del patrner. Nella fattispecie esaminata, due cittadini belgi, un magistrato e di un medico, ricorrevano alla Corte Europea dei Diritti Umani contestando la condanna per pratiche sadomasochiste estreme sostenendo che era stato violato il loro diritto al rispetto della vita privata. E' chiaro che, recita la sentenza, "se una persona può rivendicare il diritto di esercitare pratiche sessuali nel modo più libero possibile, il rispetto della volontà della vittima di queste pratiche costituisce limite a tale libertà". La pronuncia, inequivocabilmente, nega al sadismo una vera e propria consistenza di diritto: ove la pratica sia violenta (parificata ad un supplizio) non vi sarà alcuna scriminante dell'esercizio di un diritto. Potrà essere tuttavia applicata la scriminante del consenso della vittima.
L'atto sessuale, in questi casi, del resto, è rimesso alla libera determinazione dei partners: le loro scelte, non sindacabili per astrazione, potranno, però, essere oggetto di giudizio di meritevolezza / liceità: anche in tal caso opera sempre il limite previsto dall'art. 5 del codice civile per cui il diritto all'integrità fisica è diritto al godimento del proprio organismo nella sua interezza e sanità naturale (già, in giurisprudenza, Bianca). Gli atti dispositivi del proprio corpo sono vietati ove venga cagionata una diminuzione permanente dell'integrità fisica o quando siano contrari alla legge, ordine pubblico o buon costume.
Per quanto riguarda la Giurisprudenza interna, corre l'obbligo di precisare che la condotta di un coniuge che sottoponga a violenze l'altro, è idonea in astratto a causare addebito in eventuale giudizio di separazione dei coniugi (così Cass. civ., sez. I, 18/06/2002, n.8787 in Diritto e Giustizia, 2002, f. 27, 38: ove si esprime nel senso che “non è di per sè indice di disagio psicologico, nè tanto meno di vera e propria malattia psichica, la cui esistenza deve essere debitamente accertata. Ne consegue che la suddetta condotta ben può costituire, da sola, elemento sufficiente per l'addebito della separazione”).
Comunque, una pratica sessuale basata su un accordo lecito, scriminerà ex art. 50 c.p. in sede penale e in sede civile ex art. 2043 c.c., non integrerà illecito. Del resto, la causa di giustificazione prevista dall'art. 50 c.p. ha efficacia scriminante in tutti i casi in cui venga prestato volontariamente e nella consapevolezza di eventuali conseguenze anche lesive della propria integrità personale (sempre che esse non si risolvano in menomazioni permanenti. In tal caso si escluderebbe la rilevanza del consenso già prestato precedentemente).
Il consenso, revocabile fino all'ultimo momento del rapporto, quindi, risulta il fulcro della giurisprudenza interna per la quale tutte le pratiche sessuali devono essere preventivamente autorizzate.