L’obiettivo principale di strumenti di policy di questo genere è di stimolare la crescita, l’occupazione e la produttività di aree territoriali in recessione o in stagnazione. Seppur sembri una misura innovativa in Italia, nel resto del mondo le Zes sono state ampiamente utilizzate: ad oggi se ne contano quasi 3mila in tutto il mondo. In Cina, per esempio, sono state parte integrante delle riforme market-oriented dell’economia, avendo contribuito allo sviluppo cinese con numeri impressionanti: +22% del Pil, +45% degli investimenti esteri, +60% export e circa 30 milioni di posti di lavoro nel 2007. Anche in Europa se n’è fatto uso, specialmente in Polonia: qui sono presenti ben 14 zone economiche speciali. L’esperienza polacca è stata altrettanto positiva poichè, come evidenziato da uno studio della Narodowy Bank Polsky (Banca centrale polacca) l’effetto delle Zes è stato positivo sia sull’occupazione (per ogni 100 posti di lavoro creati all’interno della ZES ne vengono creati 209 nelle aree limitrofe) sia sugli investimenti, seppur in maniera più tenue.
In Italia, nonostante si invochi da anni l’istituzione delle ZES, questo potrebbe non bastare. Seppur questo strumento abbia degli effetti positivi nelle regioni con un’alta percentuale di esportazioni, come l’Italia, il meridione conserva delle peculiarità che influenzerebbero in negativo l’effetto di queste misure. Come dimostrato dall’esperienza cinese, non tutte le aree sono ottimali per costruire delle zone franche: affinchè queste siano massimamente efficaci è necessario che siano inserite in un contesto con il giusto mix di risorse, capitale umano ed infrastrutture. Se la disponibilità di risorse non è un problema per il meridione, la fuga di cervelli dal Sud al Nord e la presenza di infrastrutture obsolete (vedi i trasporti) sono un grosso scoglio da superare. Inoltre le esperienze cinesi e polacche vanno collocate in un trend di espansione dell’economia nazionale, contesto totalmente contrario al caso italiano. Un’altra caratteristica del sistema italiano che potrebbe ostacolare la buona riuscita di questa politica è la lentezza del sistema burocratico italiano: per via di questo elefante che il Bel Paese si porta dietro da parecchi anni delle agevolazioni fiscali, seppur importanti, potrebbero non bastare ad attirare gli investimenti dei grandi player internazionali cui mira l’istituzione delle ZES. L’arcinota corruzione e l’azzardo morale contribuirebbero ad indebolire questa misura, esattamente come successo in parecchi Paesi africani che avevano provato a sperimentarla. Una misura rivolta alla crescita nel medio-lungo periodo si trasformerebbe così in una misura di breve periodo, passando da volano per l’economia a misura assistenziale per poche imprese. Per un impiego delle risorse ottimale bisogna corredare l’istituzione delle Zes delle giuste innovazioni almeno a livello di infrastrutture, poiché nel breve periodo è impossibile agire su fenomeno come la corruzione, la fuga di cervelli o la lentezza burocratica. Se l’obiettivo del governo è quello di rilanciare la crescita del meridione non ci si può e non ci si deve fermare a questo.
L’istituzione delle Zone Economiche Speciali potrebbe non bastare a rilanciare il Sud
Scritto da Sergio InferreraDal 9 giugno, in seno al “Decreto Sud”, è stata proposta ufficialmente la costituzione delle Zone Economiche Speciali (ZES) in ambito portuale per il rilancio economico del meridione. La proposta, di cui si parlava da anni, è stata approvata solo dopo una lunga trattativa con Bruxelles dovuta al fatto che la misura poteva configurarsi come aiuto di stato (vietato dagli articoli 107 e 108 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).
Le Zes sono aree geografiche all’interno delle quali lo Stato offre una serie di importanti agevolazioni fiscali alle imprese che vi operano.
Sergio Inferrera
Messinese, iscritto al corso di laurea in Economia all'Alma Mater Studiorum di Bologna, appassionato al mondo della politica, dell'economia e dello sport
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