In tal senso il welfare state ha due funzioni: quella di redistribuire il reddito di una stessa persona durante il suo ciclo vitale (tipicamente tramite il sistema previdenziale) o quella di redistribuire reddito da parti della società più forte a parti di società più debole (redistribuzione verticale). Da quando è nato, il WS ha dovuto fronteggiare parecchie sfide, in particolar modo quella del contrasto alla povertà. A tal proposito, la lotta alla povertà si divide in misure di prevenzione alla povertà e programmi di contrasto alla povertà. Le misure di prevenzione alla povertà sono le indennità di disoccupazione e, seppur in modalità eterogenee, sono presenti in tutta Europa. Diversa, invece, è la situazione che riguarda i programmi di contrasto alla povertà. Questi ultimi, infatti, hanno subito una grossa crisi dall’avvento della società post-industriale: si trattava di programmi pensati per un determinato tipo di famiglia, quella del male-breadwinner, in cui il solo salario dell’uomo bastava a portare avanti un’intera famiglia lasciando alla donna il compito di accudire la prole. Oggi, la situazione è drasticamente cambiata: la partecipazione femminile al mercato del lavoro è incrementata a dismisura, con un effetto positivo sul matrimonio tra persone simili a livello salariale ed uno – conseguente – negativo sulle disuguaglianze. Questo fenomeno scardina l’ipotesi su cui si fonda il WS: tendenzialmente entrambi i genitori lavorano, dunque c’è bisogno che lo Stato si faccia carico della cura dei bambini. Ma non è tutto: anche la tipologia di contratti ha un effetto negativo sul WS.
Come evidenziato dal grafico, durante gli anni è cambiato il rapporto contrattuale tipico: se il WS ipotizzava che i lavoratori potessero godere di un contratto a vita (dipendenti a tempo indeterminato nel grafico di sinistra 62,4%), oggi la percentuale di questo tipo di rapporti è notevolmente diminuita (44,1%). Questa progressiva flessibilizzazione del mercato del lavoro, la diminuzione dei salari minimi, il dumping sociale tipico della globalizzazione insieme alla crisi dei mutui, ha fatto sì che si delineasse una nuova figura di poveri: i working poors, quei lavoratori il cui salario è inferiore alla soglia di povertà relativa. In una delle sue prime opere anche Orwell esaminò il caso dei working poors con riferimento alla sua esperienza di plongeur (un tuttofare dei ristoranti, principalmente lavapiatti), vissuta prima di dedicarsi alla scrittura. Considerando la figura di working poor egli sostiene “it is strange that thousands of people in a great modern city should spend their waking hours swabbing dishes in hot dens underground. The question I am raising is why this life goes on- what purpose it serves […]. I think one should start by saying that a plongeur is one of the slaves of the modern world. […] he is paid just enough to keep him alive”. Ed ancora: “Except by a lucky chance, he has no escape from this life, save into prison” (Down and out in Paris and London, 1933). Di fronte a queste problematiche, Il WS con i suoi vecchi strumenti sembra non essere più in grado di contrastare la povertà: per questo è necessario pensare strumenti nuovi, per la protezione sociale delle classi più deboli. Una di queste misure è il reddito minimo.
Il reddito minimo
Il reddito minimo (RM) è una politica di sostegno al reddito, in genere riservata agli individui in età da lavoro e alle loro famiglie, ed erogata su previa prova dei mezzi; è uno strumento di protezione sociale che opera in qualità di safety net di ultima istanza. Guardando alla soglia di povertà, il RM si pone l’obiettivo di portare gli individui fuori da una condizione di indigenza, cercando di fornire loro uno standard di vita accettabile. Questo diritto soggettivo alla ricezione di “risorse e prestazioni garantite e sufficienti” (raccomandazione 92/441/CEE del 24/06/1992) si esplica nel tentativo di combattere la povertà e l’esclusione sociale. Infatti, il RM nasce proprio come istituto di lotta alla povertà, e svolge a tal fine due funzioni redistributive: una di equità consequenziale e una intertemporale. La prima cerca di appianare le disuguaglianze economiche attraverso il raggiungimento di un determinato reddito soglia garantito; la seconda cerca invece di uniformare nel tempo livelli differenti di reddito in quegli individui che vivono periodi di basse entrate (smoothing function). Mentre il contrasto alla povertà è una caratteristica propria dei redditi minimi garantiti (RMG), legati alle prime due ondate delle misure di sostegno al reddito, con le politiche di RM di terza generazione si assiste ad una svolta lavorista che porta i RMG a trasformarsi in redditi minimi di inclusione (RMI): quest’ultimi, più assimilabili a politiche di workfare che di diritto al reddito, si prefiggono di sconfiggere l’esclusione sociale mediante l’introduzione dei destinatari del sussidio in percorsi di inserimento lavorativo, gestiti a livello locale. Si osserva uno spostamento dalla tutela del reddito ad un approccio work-oriented delle politiche di RM: ciò avviene sia per far fronte alle pressioni comunitarie per il rispetto del pareggio di bilancio pubblico, sia per risolvere problematiche intrinseche ai RMG. In quanto misure di universalismo selettivo, il targeting del RMG crea efficienza rispetto alle risorse utilizzate (target efficiency), ma anche problemi di natura sociale. Oltre allo stigma psicologico di chi deve autoidentificarsi come indigente, si ha una duplice trappola: quella della dequalificazione, che consiste nella dipendenza dei beneficiari dal sussidio, e quella della povertà, risultante in un disincentivo al lavoro per i soggetti con un reddito prossimo alla soglia di accesso. Tali questioni sono parzialmente risolte incentivando i destinatari dei RMI alla partecipazione in programmi formativi e lavorativi, pena l’esclusione dal sussidio. Se da un lato ciò scoraggia comportamenti opportunistici e favorisce l’attivazione del soggetto verso l’inclusione sociale, dall’altro può creare condizioni di profonda indigenza: anche se condizioni di accesso non flessibili sono efficaci nel far crescere l’occupazione e nel ridurre complessivamente il tasso di povertà, criteri di eleggibilità troppo rigidi possono emarginare chi non beneficia del RM, escludendoli anche dall’accesso ad altre misure di protezione sociale (H. Immervoll, 2010). L’incoraggiamento all’autosufficienza che si evince dalle politiche di RMI è una richiesta complessa ed esigente, in primo luogo per l’eterogeneità dei destinatari, essendo questi sia lavoratori con bassa paga, sia persone affette da disabilità: l’ampio numero di potenziali beneficiari evidenzia l’importanza di trovare un equilibrio tra incentivo all’autonomia individuale ed assistenza a chi non può averne, attraverso una discriminazione qualitativa delle condizioni dei singoli beneficiari, al fine di rispondere a specifici bisogni individuali.
Germania
Dal 01/01/2005 è entrato in vigore il Sozialgesetzbuch II. La riforma ad essa correlata viene definita nel linguaggio quotidiano con Arbeitslosengeld II (in seguito ALG-II) oppure con Hartz IV. Il quarto pacchetto delle riforme Hartz ha sostituito il precedente schema a tre livelli, consistente in un sussidio di disoccupazione contributivo (Arbeitslosengeld), un sussidio di disoccupazione assistenziale (Arbeitslosenhilfe) e uno di assistenza sociale (Sozialhilfe). L’obiettivo della suddetta riforma è quello di riassumere in un unico testo le norme e le leggi nell’ambito del diritto, dell’assistenza sociale e delle procedure assistenziali alle persone in cerca di un’occupazione. La riforma prevede, inoltre, la creazione di un ente, il Jobcenter, per la gestione degli ammortizzatori sociali. Il vecchio sussidio di disoccupazione contributivo è stato sostituito da un nuovo istituto, Arbeitslosengeld I, rivolto a coloro i quali abbiano lavorato almeno un anno nell’ultimo biennio. Tale sussidio ha una durata che varia dai dodici mesi (persone di età inferiore ai cinquant’anni) ai ventiquattro mesi (età pari o superiore ai cinquantotto anni). Esso copre il 60% del salario precedentemente percepito o il 67% in presenza di minori a carico. L’eventuale rifiuto di una idonea offerta di lavoro è sanzionato con una sospensione temporanea dal sussidio che può diventare definitiva in caso di ulteriori rifiuti. La presenza del Jobcenter garantisce il passaggio automatico all’ALG-II dopo la scadenza del termine massimo per il godimento dell’Arbeitslosengeld I. L’ ALG-II è rivolto ai residenti, abili al lavoro, di età compresa tra i 15 e i 64 anni (disoccupati da lungo tempo, lavoratori a basso reddito e giovani che cercano un primo impiego, esclusi gli studenti). Esso assicura alle persone bisognose non solo un minimo livello di sussistenza, ma anche attività di formazione o di aggiornamento. L’erogazione di tale sussidio è subordinata alla valutazione del reddito e del patrimonio a livello famigliare. Ai destinatari di tale misura viene richiesto un impegno effettivo per il reinserimento nel mercato del lavoro. È perciò necessario: partecipare attivamente ai corsi di formazione o aggiornamento, frequentare corsi di lingua (per chi non fosse in possesso delle conoscenze linguistiche di base), presentare candidature di lavoro, etc. Cosi come avviene per l’ALG-I, il mancato rispetto di tali obblighi comporta la riduzione dell’importo del sussidio. Infine, ai soggetti disabili e alle persone che non sono in grado di lavorare per più di tre ore al giorno è destinato il Sozialhilfe.
Portogallo
Lo strumento principale di contrasto alla povertà in Portogallo è il Rendimento Social de Inserção (Social Insertion Income o RSI), istituito nel 1996. Il RSI è una prestazione in denaro congiunta ad un contratto di integrazione che ha l’obiettivo di garantire ai beneficiari, oltre che il soddisfacimento dei bisogni primari, anche il loro graduale reintegro a livello sociale e lavorativo. Vi sono diversi criteri da rispettare per ottenere l’erogazione di tale sussidio, tra cui l’aver ottenuto la residenza legale in Portogallo da almeno un anno. Il tempo per ottenerla è variabile: per il cittadino comunitario è sempre di un anno (come quello nazionale), mentre il cittadino non comunitario l’otterrà dopo tre anni. In termini di età, un individuo potrà richiedere tale sussidio solo al compimento dei 18 anni. Vi sono altre condizioni subordinate al means-testing, tali per cui l’individuo dovrà consegnare alla “Social Security” tutti i documenti atti a verificare la condizione economica e finanziaria propria e dei componenti della famiglia, nonché autorizzare quest’ultima ad avere accesso a tutti i documenti rilevanti per l’accertamento della situazione socio-economica del richiedente. Infine, vi sono delle condizioni correlate al settore del lavoro: il richiedente disoccupato o disponibile a lavorare dovrà registrarsi al centro di impiego situato nei pressi dell’area in cui vive (specifiche categorie di persone sono esenti dal firmare il contratto di integrazione e registrarsi al centro di impiego, per esempio anziani dai 65 anni in su, persone che si prendono cura di un componente della famiglia, etc.). Ai beneficiari del RSI è corrisposto un sussidio di ammontare pari alla differenza tra il teorico ammontare di RSI, in relazione al numero di componenti della famiglia, ed il reddito complessivo familiare. Per questo non è un sussidio in somma fissa, ma varia a seconda della dimensione familiare e del reddito complessivo della famiglia (ad esempio una coppia percepisce 307€; una coppia con un figlio riceve 398€; una coppia con due figli 488€; etc.). La durata di tale sussidio è di 12 mesi e può essere rinnovato su richiesta del beneficiario: la richiesta di rinnovo deve essere presentata 2 mesi prima la scadenza del RSI e devono essere sottolineati, laddove ve ne sia bisogno, mutamenti della composizione e del reddito familiare.
Conclusioni
Come si evince dai grafici, l’istituzione del reddito minimo è stata di fondamentale importanza nell’arginare il dilatarsi delle disuguaglianze e nel contrastare la povertà relativa. Dopo gli anni della crisi dei mutui, però, sembra che questa misura possa non bastare più. Per quanto concerne la Germania, l’inserimento delle politiche di RM, tra il 2003-05, ha avuto un effetto positivo nell’attenuare le conseguenze della crisi: il coefficiente di Gini (indice principale nel misurare la disuguaglianza) è rimasto intorno al 30% negli anni successivi al 2007, per poi scendere lentamente. Situazione analoga in Portogallo, con un coefficiente di Gini in decrescita dall’inserimento del RSI. Per quanto riguarda il poverty ratio, la situazione è analoga, con una diminuzione del rapporto dall’inserimento della misura di RM e un aumento dopo la crisi dei mutui. Questo fatto indica chiaramente che, a causa dei problemi concernenti le misure di assistenza selettive precedentemente trattati, i programmi di reddito minimo potrebbero non essere più adeguati a combattere la povertà. In un contesto in cui la globalizzazione e il dumping sociale sono sempre più pressanti e la disoccupazione tecnologica imperversa, ripensare gli strumenti di contrasto alla povertà è necessario per poter affrontare le sfide del nuovo millennio, aumentandone il grado di universalismo per migliorarne l’efficacia