Un obiettivo comune a entrambi i livelli è quello di combattere l’evasione fiscale attraverso la trasparenza e la cooperazione fra i Paesi per riuscire, in ultima analisi, a tassare (rectius sottoporre a imposizione) il reddito prodotto dalle multinazionali nei paesi dove lo stesso è effettivamente generato.
In questa ottica l’OCSE nel 2015 ha concluso una prima importante fase del progetto conosciuto come progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) pubblicando 15 action plan ciascuna con il fine di migliorare o comunque di trovare soluzioni alle tematiche fiscali più sensibili (solo per citarne qualcuna transfer pricing, cfc, stabili organizzazioni…). Come detto il filo conduttore per rendere possibile l’implementazione di tale nobile progetto è l’aumento della trasparenza e della cooperazione fra i vari Paesi.
Quanto sopra – decritto in maniera estremamente succinta per non annoiare il lettore non esperto in materia – avrà sicuramente un impatto nel futuro della pianificazione fiscale e nelle strutture dei gruppi multinazionali con particolare riferimento alla loro presenza in Italia ma mi spinge a riflettere sulle effettive implicazioni che detto progetto avrà in Italia.
Nel nostro Paese gli investimenti delle multinazionali estere sono di indubbia rilevanza per le casse dello Stato e dunque il progetto BEPS potrebbe incrementare le entrate ma allo stesso tempo ritengo che l’incremento del gettito erariale debba essere ricercato:
- Combattendo l’evasione delle piccole imprese e delle forme imprenditoriali più semplici;
- Rendere il territorio dello Stato più attraente per investitori esteri;
- Incrementare e rendere più efficiente la cooperazione fra contribuente ed Agenzia delle Entrate.
Partendo dal basso si può ritenere che sia in atto (o comunque che vi sia un tentativo in tale senso) di raggiungere tale obiettivo attraverso una preparazione più adeguata dei funzionari ed un più accentuato dialogo fra le parti. La strada intrapresa è quella giusta anche se persistono differenze sostanziali fra Uffici.
Il terzo punto è strettamente connesso con il secondo. Oltre come conseguenza dell’introduzione di normative fiscali più competitive (come i neo-introdotti regime di tassazione di favore per i redditi derivanti dallo sfruttamento dei beni immateriali e regime dell’esenzione degli utili generati da una stabile organizzazione all’estero di una soggetto residente in Italia) ed in linea con le recenti pronunce della Corte di Giustizia Europea (possibilità di adottare il regime del consolidato fiscale fra società “sorelle”, sospensione della tassazione in uscita in seguito ad operazioni di riorganizzazione transnazionali), l’appetibilità per gli investitori esteri aumenta infatti se i controlli ed rapporti con il fisco sono trasparenti.(È anche chiaro che gli investimenti esteri sono anche attratti se la burocrazia, le istituzioni ed i servizi pubblici funzionano in modo adeguato).
Infine, per quanto riguarda il primo punto, ritengo che lo stesso riguardi da un lato il passato e, dall’altro, il futuro. Per ciò che concerne il passato nel corso degli anni a più riprese sono stati introdotti istituti di “risanamento” fra cui, da ultimo, la cd voluntary disclosure che per certi versi può forse essere considerata “l’ultima spiaggia” in quanto segue ad un processo (nato principalmente sulla scia del FACTA negli USA) che prevede l’introduzione dello scambio di informazioni fra l’Italia ed alcuni degli Stati da sempre meno collaborativi (Svizzera, Monaco e molti altri).
Per quanto riguarda il futuro, se da un lato è ora difficile per gli evasori nascondere denari frutto di evasione e non solo in paesi limitrofi grazie all’introduzione dello scambio di informazioni, dall’altro è complicato per le autorità fiscali portare avanti accertamenti e controlli nei confronti di imprenditori, professionisti, di piccoli esercizi e di altre forme societarie di dimensioni più ridotte a causa della sproporzione fra i costi per le verifiche e degli importi che potrebbero essere raccolti.
Se si conta il numero di detti soggetti si arriva facilmente alla conclusione che il problema dell’evasione in Italia non è solo la conseguenza di alcune strutture frutto della pianificazione fiscale di talune multinazionali (che peraltro sono ad oggi “tendenzialmente” legali) ma anche e forse soprattutto delle attività non dichiarate di piccoli soggetti.
Il lavoro da fare è dunque anche sulla mentalità risultato che può essere ottenuto con tempo e pazienza migliorando pian piano la qualità dei servizi offerti dal sistema Stato, eliminando sprechi e inefficienze, punendo in maniera esemplare i trasgressori e raggiungendo una progressiva diminuzione del carico impositivo.