Ognuno sta bene a casa propria, questo è certo. Sono altre le motivazioni che spingono un individuo a “scappare” dalla propria terra, sia esso un italiano che si trasferisce all’esterno per cercare un lavoro appagante e una retribuzione consona o un africano, che giunge in un continente straniero per mantenere economicamente la propria famiglia.
Naturalmente, la politica europea è chiamata a dare riposte in questo senso. Il tema è stato infatti oggetto di discussione alcuni giorni fa durante il summit del G20.
Un nulla di fatto sostanziale, con una timida iniziativa della Germania (i “Compact with Africa”) che tuttavia non possono rispondere alle reali esigenze di un continente messo in ginocchio dal cambiamento climatico, dalle guerre in atto e dalla disuguaglianza sociale che i leader del continente “Giallo” non fanno altro che accentuare assecondando la loro sete di potere. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di fare un po’ di chiarezza circa gli eventi e i momenti fondamentali che hanno generato questa crisi migratoria.
L’accordo fra UE e Turchia del marzo 2016
Circa un anno fa, più precisamente marzo del 2016, l’Unione europea e la Turchia raggiungono finalmente un’intesa. L’obiettivo è arginare i flussi migratori di coloro che scappano dalla guerra e dalla miseria, in direzione Europa. Il nodo dell’accordo prevede che tutti i profughi che arrivano “illegalmente” sulle coste greche (a partire dal 20 marzo 2016) possano essere rimandati indietro. Ergo: rispediti in Turchia, senza nessuna garanzia.
Ankara accetta, incassa anche il via libera di Bruxelles per un contributo da tre miliardi per i campi profughi in territorio turco. Conta di ottenere in cambio la liberalizzazione dei visti per i propri cittadini che vogliono raggiungere l’Europa.
È passato più di un anno dal giorno in cui quel patto è stato siglato e i risultati non sono incoraggianti. «Più di 60.200 migranti sono giunti da Libia ed Egitto nei primi cinque mesi del 2017, circa il 25% in più rispetto allo stesso periodo nel 2016», scrive lo European Council on Foreign Relations. D’altro canto, l’accordo stipulato tra UE e Turchia prevedeva il presidio della rotta Balcanica, ormai poco utilizzata dagli scafisti.
La soluzione, dunque, non può passare per la creazione di muri artificiali al di fuori dell’Europa.
Il “Caso Renzi”
"Non abbiamo il dovere morale dell'accoglienza: sarebbe un disastro etico, politico e sociale".
La frase che pare scaturire direttamente da un leghista della prima ora, in realtà è stata pronunciata dal leader della sinistra italiana, Matteo Renzi.
Il segretario del PD viene accusato dall'opposizione di aver siglato il protocollo applicativo dell’operazione Triton. Nei fatti, è proprio così!
Nel 2014 infatti, il governo Renzi firma il protocollo della missione internazionale Triton, che cancella l’operazione Mare Nostrum e assegna all’Italia la gestione dei salvataggi in mare e l’onere degli sbarchi nei porti italiani. Tuttavia, come lo stesso Matteo Renzi ha sostenuto ieri sera (12 luglio) a Bersaglio Mobile su La7, il principio del “Primo Approdo” fu voluto e ottenuto dal governo Berlusconi nel lontano 2003 allo scopo di difendere la legge Bossi-Fini che prevedeva l’espatrio forzato dei migranti non in possesso di un permesso di soggiorno.
Cosa succede in seguito? Molto semplice, nel 2013 gli Accordo di Dublino ribadiscono il principio del Primo Approdo. L’operazione “Triton” sarà l’ultimo tassello di un puzzle, posto in essere dal governo italiano per richiedere aiuto all’Europa nella gestione dei migranti. Questo aiuto arriva con la creazione del programma denominato “Relocation” ; in cambio di questo appoggio l’Italia prende in carico la gestione amministrativa dei salvataggi in mare.
Resta tuttavia un velo di opacità su un’uscita mediatica non particolarmente felice dell’ex premier del PD. Se Renzi puntava ad accaparrarsi qualche voto in più, probabilmente ha scelto la strategia sbagliata.
Una soluzione esiste?
Ritorna lo stesso interrogativo che ricorre ormai da almeno due anni: ha senso barricarsi?
Risponde Louise Arbour, rappresentante speciale per le migrazioni del Segretario Generale Onu, intervistata dal Corriere della Sera. «L’unica soluzione per risolvere il problema dei migranti è creare flussi legali. Pensare di fermare queste persone alzando muri e impedendo loro di partire è un’utopia». Il punto è gestire, non chiudere.
«Subentra la paura, il rifiuto alla regolarizzazione di chi riteniamo diverso da noi. Ma bisogna spiegare quali sono i vantaggi. Fermare questi flussi non è possibile, il fenomeno è irreversibile e come tale va governato. Anche perché, parlo dei rifugiati, ci sono dei requisiti di solidarietà da rispettare. Purtroppo all’interno dell’Ue si prendono impegni che poi non vengono rispettati», continua Arbour. Il vero nodo è negoziare con la Libia, ma «concedere fondi alla Guardia costiera locale non è la soluzione, anzi».
La questione umana dei migranti
Come dar torto a Renzi, a Matteo Salvini (che mai avrei pensato di accostare l'un l'altro per ragioni politiche)e a coloro che ritengono un pericolo l’ondata di migrazioni che il nostro continente sta conoscendo in questi ultimi mesi.
Tuttavia, spesso ci si dimentica della tragedia del viaggio che i migranti spesso sono costretti a intraprendere. Per comprendere la portata del fenomeno basta citare un dato: 5300.
Sono i minori che, solo nei primi tre mesi del 2017, sono arrivati Italia, Spagna, Grecia e Bulgaria. Di loro circa il 69% viaggiava da solo, senza un adulto ad accompagnarlo.
Quella che sulla carta è una questione di numeri, nella realtà è una tragedia umanitaria. Molti sperano di raggiungere le loro famiglie in altri Stati d’Europa. Tuttavia, sempre più spesso questi giovani sono soggetti a violenza e sfruttamento durante il loro “viaggio”. Nelle parole di Lucio Melandri, Senior Emergency Manager di Unicef: «Li vediamo alla frontiera di Ventimiglia o di Como, quelle che sono le cosiddette ‘dark area’, dove i minori decidono di diventare invisibili e dove la violenza può avere il sopravvento».
La vuota frase tanto ripetuta dalla politica italiana, "Aiutiamoli a casa loro", può anche avere un senso purchè questa volta lo si faccia davvero. E non per scopi propagandistici, bensì in nome di un riscoperto senso di umanità. Un senso di umanità del quale oggi non vi è traccia all’interno della società occidentale (che poi sarebbe quella “sviluppata”, almeno sulla carta…).
Fonti:
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