Il numero di coloro che hanno votato è stato di 121.030.162 persone su 324,9 milioni di abitanti, dunque solo il 37,25% della popolazione statunitense ha votato per eleggere il Presidente e 469 membri del Congresso. Se invece consideriamo gli aventi diritto di voto, ossia 231.556.622 cittadini statunitensi, l'affluenza sale al 52%.
Considerando unicamente l'elezione presidenziale, questo è il quinto caso nella storia statunitense in cui il presidente eletto non è il candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei voti popolari: questo evento è avvenuto anche nel 2000, nel 1888, nel 1876 e nel 1824. In seguito alle votazioni di martedì, infatti, la candidata democratica Hillary Clinton ha conseguito 61.150.553 voti (il 47,6% del totale) contro i 60.480.474 (il 47,1%) del rivale repubblicano. Tuttavia, il sistema elettorale americano è un sistema maggioritario che assegna tutti i delegati di uno stato federale al candidato che ha ricevuto più consensi; per questa ragione, la Clinton ha ottenuto solamente 232 grandi elettori, 74 in meno di Trump. Dunque, quello statunitense è un sistema elettorale che sacrifica parzialmente la rappresentatività del voto in nome della governabilità dell'esecutivo.
Il fatto che l'elezione, pur avvenuta regolarmente, non abbia espresso appieno la volontà popolare ha suscitato forti proteste in tutti gli USA: in numerosi campus universitari e in molte grandi città vi sono state accese manifestazioni che intonavano slogan quali «he's not my president» («lui non è il mio presidente») e «love trumps hate» («l'amore vince l'odio»). Particolarmente violente sono state le contestazioni a Portland, in cui i cortei sono finiti a scontrarsi con le forze di polizia, a New York, dove i dimostranti si sono riuniti sotto la Trump Tower, e a Oakland, dove sono stati accesi falò per bruciare le foto del neo- presidente.
Dall'altro lato, i sostenitori di Trump hanno fatto sentire la loro voce, degenerando anche in violenze e minacce: sui muri sono apparse scritte quali «make America white again» (ossia «rendiamo l'America di nuovo bianca», sulla falsa riga dello slogan del candidato) o «black lives don't matter, neither does your vote» (che sta per «le vite dei neri non contano, e neppure il vostro voto»). Nelle università di San Josè e di Lafayette due giovani donne sono state aggredite da ragazzi che hanno cercato di strappare loro il velo, mentre il Ku Klux Klan ha annunciato che il 3 dicembre organizzerà una parata in North Carolina in onore del vincitore.
Nonostante i dissensi, Donald Trump sarà ufficialmente nominato quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti il 6 gennaio 2017, giorno in cui il Congresso eletto lo scorso martedì si riunirà in seduta congiunta per conteggiare i voti che assegneranno a Trump la maggioranza presso le due Camere: dei 538 cosiddetti "Grandi Elettori" (100 senatori, 435 deputati e 3 rappresentanti del Distretto della Columbia, in cui risiede la capitale Washington) il neo-eletto presidente ne ha ben 306 dalla sua parte. Il passaggio di consegne con il presidente uscente Barack Obama avverrà tuttavia solamente il 20 gennaio: in questa data avrà luogo la tradizionale cerimonia dell'Inauguration Day, in cui Donald Trump si insedierà formalmente alla Casa Bianca dopo il giuramento previsto dalla Costituzione.
Nei 73 giorni che separano le elezioni dall'insediamento, il neo-presidente e il suo staff saranno impegnati con il cosiddetto "spoils system", ovvero la nomina di 4100 alti funzionari della pubblica amministrazione. Nell'elenco dei nomi di coloro che probabilmente andranno a formare la squadra di Trump figurano Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York e potenziale nuovo procuratore generale; Sarah Palin, ex governatrice dell'Alaska che nel 2008 si candidò come vice presidente con McCain, in qualità di Ministro degli Interni; Ben Carson, attivista per i diritti degli afroamericani, come Segretario alla Sanità.
Mai come adesso è difficile fare pronostici sul futuro andamento di questo mandato presidenziale, e ciò contribuisce a minare la stabilità, non solo interna, ma anche estera. In uno scenario politico-economico così complesso come quello attuale, gli USA hanno bisogno più che mai di un capo dello stato forte e credibile, e soprattutto capace di ricomporre le forti tensioni in atto. Infatti, se queste non venissero sedate, potrebbero andare a creare delle fratture irrimediabili nel tessuto sociale, con pesanti ripercussioni anche sui rapporti internazionali e, di conseguenza, sull'economia statunitense.
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