Il Reddito di inclusione sociale: un opportunità per il nostro paese?
“Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti, ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo di attuazione della legge sul contrasto della povertà, il riordino delle prestazioni di natura assistenziale e il rafforzamento del sistema degli interventi e dei servizi sociali (legge 15 marzo 2017, n. 33)”.
Questo si legge nel comunicato stampa del consiglio dei ministri n. 33 del 09 giugno 2017. Il decreto introduce, a decorrere dal 1° gennaio 2018, il Reddito di inclusione (REI), quale misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. Questo significa che, da gennaio 2018 spariranno il sostegno all’inclusione attiva (SIA) e l’assegno di disoccupazione (ASDI) per i disoccupati a fine NASPI, sostituiti dal nuovo strumento di sostegno alla povertà REI. Analizziamo questo istituto nel dettaglio.
Di cosa stiamo parlando
Il REI è una misura nazionale rivolta a tutte le famiglie che vivono la povertà assoluta in Italia. L’istituto prevede l’erogazione di un contributo economico accompagnata dalla realizzazione di percorsi d’inserimento sociale o occupazionale, utili a costruire nuove competenze e/o a riprogettare la propria esistenza. Avranno la precedenza per l’assegnazione del Reddito di Inclusione le famiglie con presenza di minori, i disabili, le donne in stato di gravidanza e gli over 55 disoccupati che vivono in una situazione di difficoltà. Si tratta dunque di quello che comunemente potremmo chiamare “sussidio selettivo”, vale a dire un incentivo su base monetaria (correlato da una componente di servizi alla persona) elargito ad una particolare fascia della popolazione (solitamente le classi più disagiate), in questo caso parliamo di famiglie in stato di assoluta povertà. Il REI è un istituto di contrasto alla povertà appartenente a questa categoria e soddisfa la necessità del nostro paese di dotarsi di un reddito minimo garantito; fino ad oggi l’Italia era l’unico paese d’Europa (assieme alla Grecia) non dotato di un reddito minimo.
Chi può usufruire del REI e in che modo
Il REI è una misura a vocazione universale, condizionata alla prova dei mezzi (in inglese si parla di means test). Viene infatti riconosciuto ai nuclei familiari che rispondano a determinati requisiti relativi alla situazione economica. In particolare, il nucleo familiare del richiedente dovrà avere un valore dell’ISEE, in corso di validità, non superiore a 6.000 euro e un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20.000 euro.
Il REI è dunque articolato in due componenti:
- un beneficio economico erogato su dodici mensilità, con un importo che andrà da circa 190 euro mensili per una persona sola, fino a quasi 490 euro per un nucleo con 5 o più componenti;
- una componente di servizi alla persona identificata, in esito ad una valutazione del bisogno del nucleo familiare che terrà conto, tra l’altro, della situazione lavorativa e del profilo di occupabilità, dell’educazione, istruzione e formazione, della condizione abitativa e delle reti familiari, di prossimità e sociali della persona e servirà a dar vita a un "progetto personalizzato" volto al superamento della condizione di povertà.
Quali costi comporta a livello statale e come viene finanziato?
Questa è certamente la voce più controversa per quanto concerne gli istituti di lotta alla povertà. Seppur contenuti rispetto all’adozione di un reddito di cittadinanza, anche i costi di finanziamento per la creazione di un reddito minimo risultano di non facile copertura. Nel caso del REI, sono pronti due miliardi l’anno per un’assistenza che si rivolge a circa 660 mila famiglie, ovvero 1,8 milioni di persone, a partire dal 2018. Nella Legge di Stabilità 2016 è stato creato un fondo da 1 miliardo di euro, al quale sono stati aggiunti altri 150 milioni da quella del 2017. Ulteriori 500 milioni per il reddito di inclusione saranno poi sbloccati nel 2018. Dunque, al momento, sarebbero pronti 1,15 miliardi di euro per finanziare le prime mensilità.
I motivi sociali del REI
La sostenibilità del sistema-paese italiano è messa a dura prova da diversi fattori. In particolar modo, i costi del welfare stimati per i prossimi anni sembrano destinati a condizionare le scelte politiche del nostro paese. L’invecchiamento della popolazione unito ad un basso tasso di natalità, la crescita del debito pubblico complessivo e l’aumento delle famiglie in povertà assoluta sono solo alcune delle problematiche più significative del nostro paese. In merito a quest’ultimo punto, i numeri in Italia sulla povertà assoluta (dati ISTAT), ovvero tutte quelle persone che non sono in grado di raggiungere uno standard di vita minimo accettabile, sono inquietanti. Se nel 2006, prima della crisi, parlavamo di 789.000 famiglie, nel 2015 il numero è salito a 1.582.000. In percentuale, le famiglie in povertà assoluta sono aumentate del 31% tra il 2011 e il 2012 (dal 5,2% al 6,8% del totale dei nuclei) e del 70% tra il 2005 e il 2012 (dal 4% al 6,8% del totale).
Questi pochi dati bastano a comprendere l’importanza e l’urgenza dell’adozione di una misura di contrasto al disagio sociale ed economico, in continua espansione nel nostro paese. Tuttavia, per comprendere con esattezza se il reddito di inclusione sociale possa rappresentare una svolta per l’Italia, bisognerà attendere almeno fino alla sua attuazione. Nel frattempo il dibattito tra universalismo (il reddito di base) e selettività (reddito minimo e reddito di inclusione sociale) non si arresterà tanto facilmente.
Agi.it
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