Le grandi società, ormai regine del web e dell’e-commerce, si stanno via via strutturando in modo tale da poter offrire ai propri fruitori servizi di pagamento virtuale, non solo con riferimento ai prodotti da loro stesse offerti.
Spieghiamoci meglio. Già adesso, grazie a servizi quali Apple Pay o Google Pay, l’utente ha la possibilità di effettuare pagamenti online di qualunque tipo, sfruttando un portafoglio elettronico basato su carta di credito; è possibile, inoltre, effettuare pagamenti contacteless, utilizzando lo smartphone, in negozi fisici tramite il sensore NFC integrato.
Il servizio Apple Pay è offerto dalla Apple Inc. dal 2014 ed è arrivato in Europa, tramite la Gran Bretagna, tra il 2015 e il 2016.
Google Pay è una piattaforma di pagamenti online sviluppata da Google Inc. e nata dall’unificazione, nel 2018, tra Android Pay e Google Wallet.
Di recente si è potuto leggere la notizia che vede quale protagonista proprio Google. Google, infatti, così come Facebook e Amazon prima di lei, ha appena ottenuto la licenza e-money da parte di un Paese Europeo.
La licenza e-money consente di poter effettuare pagamenti, emettere moneta elettronica e gestire wallet di e-money in tutti i Paesi UE. Google ha ottenuto la licenza dalla Lituania, che con tale concessione si qualifica come una delle giurisdizioni più veloci di licenza e-money dell’UE. Il Paese Baltico, con un totale di 39 licenze concesse, è secondo solo al Regno Unito (128 licenze).
La concessione della licenza di moneta elettronica prepara il terreno per l’offerta di servizi bancari più ampi, quando la normativa lo consentirà. Che futuro quindi per il mercato dei servizi finanziari?
Le Banche stanno sicuramente vivendo un momento in cui entità facenti parte di mercati apparentemente diversi hanno le potenzialità e la possibilità per iniziare una concorrenza sul loro stesso campo. Ma la partita, in realtà, sembra non essere giocata proprio ad armi pari: dalle analisi dell’Osservatorio Mobile payment & Commerce del Politecnico di Milano emerge come il settore dei pagamenti richieda ai partecipanti di dotarsi di alcuni asset fondamentali senza i quali non è possibile competere e su cui il mondo bancario rimane, al momento, molto forte (fiducia del consumatore, velocità e semplicità del processo, diffusione dell’accettazione, accesso ai fondi del consumatore).
Vi sono però altre caratteristiche che, seppur non fondamentali, possono nel tempo cambiare sostanzialmente gli equilibri; ragion per cui le banche non possono attendere stando semplicemente a guardare l’evoluzione naturale degli eventi. Sempre più persone, soprattutto tra i più giovani, si affiderebbero ad attori non tradizionali per la gestione dei propri pagamenti. Inoltre, tra i millennial si evidenzia un aumento della propensione a cedere i propri dati in cambio di servizi migliori.
(Per approfondimenti www.agendadigitale.eu).
È chiaro che servizi finanziari e servizi High Tech vadano di pari passo ormai da molti anni e non è facile tracciare una linea di confine, soprattutto se ad entrare in gioco sono le società più capitalizzate al mondo, quale ad esempio Amazon.
Tutto nasce dall’introduzione della direttiva PSD2, entrata in vigore il 13 gennaio 2018, la quale mette in campo una serie di norme che rivoluzionano i vecchi schemi bancari per aprire la strada all’open banking. Ad esempio, viene introdotta la possibilità di offrire servizi di pagamento digitale, per i produttori di servizi, bypassando le banche.
Il principio dell’open banking si sostanzia nell’obbligo per gli istituti bancari di mettere a disposizione di terze parti i dati dei clienti, previo consenso di quest’ultimi. Ed essendo che le Big Tech vivono proprio dello sfruttamento di questi dati, il rischio più concreto è quello che colossi quali Amazon o Facebook potranno presto porsi come istituti di credito, fornendo forme di finanziamento, piccoli prestiti, investimenti, andando così a sostituire le Banche, potendo contare su una maggiore capacità di lettura e sfruttamento dei dati e su una potenza finanziaria imponente.
Fonti:
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