Tutto ciò è giusto nella misura in cui si considerino le leggi come uno strumento per regolare la vita di una comunità, non anche come un sistema astratto e lontano dalla quotidianità.
E il dibatto sul tema immigrazione e cittadinanza è quanto mai attuale e facente parte della vita di tutti i giorni, dalle chiacchiere da bar ai talk show politici e ai telegiornali.
Posta questa premessa, sapere di cosa si stia parlando potrebbe aiutare a parlarne meglio.
Attualmente, in Italia la cittadinanza la si acquisisce in maniera automatica se si è nati da almeno un genitore italiano, anche se si è residenti in un altro Stato. Questo principio, detto ius sanguinis, conferisce quindi legittimità a un “diritto di discendenza”, volendo un po’ semplificare i termini, così come stabilito dalla normativa vigente, ossia la dalla legge n. 91/1992.
Per chi invece non nasce da genitori italiani, è prevista la possibilità di richiedere la cittadinanza italiana una volta raggiunta la maggiore età e solo se si è mantenuta la residenza in Italia per tutto il tempo precedente.
Nonostante tali premesse, che palesemente escludono un ius soli (ossia il diritto ad ottenere la cittadinanza per nascita nel Paese in cui si vive), la legge prevede tre casi eccezionali. Hanno cittadinanza italiana:
• Coloro che siano nati in territorio italiano da genitori considerati ignoti o apolidi (privi di qualunque cittadinanza);
• I figli di genitori stranieri il cui Stato di origine neghi la cittadinanza a i figli nati all’estero (che quindi rimarrebbero apolidi);
• I figli di ignoti, che vengono trovati a seguito di abbandono.
La disciplina vigente in Italia non prevede quindi, salvo le tre eccezioni di cui sopra, la possibilità di poter chiedere la cittadinanza italiana per il solo fatto di essere nati qua.
Tale possibilità era invece contemplata dalla legge di riforma appena “caduta” in Parlamento. Alla fine del 2017, è stato definitivamente accantonato un disegno di legge, approvato dalla Camera dei Deputati già nel 2015, e in standby per due anni in Senato, riguardante, appunto, una riforma della situazione italiana, con un passaggio ad un sistema di ius soli temperato. La riforma prevedeva, infatti, che potesse diventare cittadino italiano chi fosse nato da genitori residenti in Italia o con permesso di soggiorno UE. La richiesta poteva essere effettuata da un genitore o da un rappresentate legale entro il diciottesimo anno di età. In alternativa, il figlio avrebbe potuto accedere alla richiesta entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
Si parla di ius soli temperato in quanto la cittadinanza non è acquisita automaticamente alla nascita, così come avviene ad esempio in USA dove vige uno ius soli puro.
La riforma prevedeva, inoltre, l’introduzione di uno ius culturae, ossia il principio che lega la cittadinanza all’aver frequentato le scuole del Paese dove si risiede prima dei 12 anni.
Nonostante gli anni di attesa, la legge non è mai arrivata alla sua approvazione da parte di entrambe le Camere del Parlamento, in quanto bocciata al Senato prima della chiusura della legislatura.
Fonti:
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