La notizia è la seguente: Ue - in Italia record di Neet, aumenta la povertà
Per quanti non lo sapessero, i Neet sono i giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all'università, che non lavorano e che nemmeno seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale. "Not in Education, Employment or Training". Questa la definizione data dalle testate giornalistiche: “Non in istruzione, impiego o formazione”.
Leggiamo alcuni dati al fine di comprendere la portata delle problematiche che affliggono il nostro paese ed in particolare la sua parte più giovane.
La ricerca della commissione europea
L'indagine 2017 sull'occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Esde) pubblicata dalla Commissione parla chiaro: quasi un giovane su cinque in Italia, nella fascia tra 15 e 24 anni, non ha o cerca un lavoro, né è impegnato in un percorso di studi o di formazione. Ciò che sciocca maggiormente è il gap che la commissione ha registrato e riportato nell’indagine. Il nostro Paese vanta infatti uno dei tassi più alti d'Europa di Neet: 19,9% contro una media nel Continente dell'11,5%. Nel 2016, la disoccupazione fra i 15 e i 24 anni è stata al 37,8%, in calo rispetto al 40,3% del 2015, ma comunque la terza in Europa dopo Grecia (47,3%) e Spagna (44,4%).
I dati sono in controtendenza con la media Ue, che invece fa registrare da due anni consecutivi un aumento deciso del tasso di occupazione. Infatti, allargando il campo all'intera Unione europea il rapporto evidenzia come con più di 234 milioni di lavoratori, e 10 milioni di posti netti creati dal 2013, il tasso di occupazione non sia mai stato così elevato come oggi nell'Ue e la disoccupazione sia al livello più basso dal dicembre 2008. Tuttavia, la storia recente del nostro paese dice qualcosa di molto diverso.
Una disoccupazione in calo ma giovani sempre meno coinvolti
Nel nostro paese, alla difficoltà di trovare un lavoro si aggiunge anche la frequente precarietà dei giovani che un lavoro lo trovano, ma mal retribuito e privo di adeguate coperture previdenziali. Chi riesce a trovare un’occupazione nel nostro paese, in più del 15% dei casi, ha contratti atipici, e dunque è "considerevolmente più a rischio precarietà".
I dati evidenziano anche una notevole disparità generazionale con i lavoratori sotto i trent’anni che in media guadagnano meno del 60% di un lavoratore ultrasessantenne. Ne consegue che i giovani italiani escono dal nido familiare e fanno figli mediamente fra i 31 e i 32 anni, più tardi rispetto a una decina di anni fa e molto dopo la media Ue che si attesta intorno ai 26 anni (con conseguenze evidenti sulla crescita demografica ed economica del sistema paese).
Di conseguenza, le nuove generazioni percepiranno "con tutta probabilità" pensioni più basse in rapporto alla loro remunerazione. Inadeguate coperture previdenziali e pensionistiche sono soltanto una delle cause. Il rapporto prevede anche un calo dello 0,3% annuo della popolazione in età lavorativa da qui al 2060. Ciò significa che in futuro una forza lavoro ridotta dovrà fare in modo di garantire il mantenimento dell'attuale tendenza alla crescita e pagare la pensione di un numero sempre maggiore di anziani. Da qui la necessità di abbassare considerevolmente il livello economico delle pensioni in un futuro non troppo lontano.
Non solo giovani: anche il gap tra uomini e donne aumenta
L’Italia non è soltanto il paese delle disparità generazionali, come ben evidenziato dai dati sopra riportati. La penisola è anche lo Stato europeo nel quale si registra una delle più alte percentuali per quanto riguarda la differenza fra uomini e donne che lavorano.
Questa si attesta infatti al 20,1%, quasi un record per il nostro paese. Pesano su questa statistica in modo particolare le condizioni assai difficile del sud, dove una donna su tre non lavora e si dedica al mestiere di casalinga a tempo pieno.
Per quanto questi dati non siano certamente positivi, la percentuale che incute più timore e che deve far riflettere di più è la seguente: il numero di persone che vivono in condizioni di povertà estrema si attesta infatti al 11,9%, ed è aumentato fra 2015 e 2016, unico caso in Ue con Estonia e Romania.
La penisola italica dunque, non mostra segnali di ripresa, segno di una difficoltà politica che si trascina da tempo e che si è acuita da circa un anno (da quando iniziò la campagna referendaria attorno al quesito costituzionale) e da una situazione economica che registra ormai da diversi anni una propensione agli investimenti di molto inferiore alla media UE.
Commissione Ue: non proponiamo reddito cittadinanza
In questo quadro di precarietà generalizzata è legittimo chiedersi se il reddito di cittadinanza, molto discusso in questi ultimi mesi, possa rappresentare una soluzione per il nostro paese.
A tal proposito, la commissaria Ue all'Occupazione Marianne Hyssen ha negato la veridicità delle voci che vorrebbero la commissione stessa decisa a introdurre il reddito di cittadinanza a livello europeo. Thyssen ha sottolineato invece l'invito dell'esecutivo Ue a introdurre in tutti gli Stati membri un salario minimo «per avere più convergenza e migliore protezione sociale per tutti» (a tal proposito, sul blog Scriptema ho recentemente analizzato l'istituto del REI, recepito poche settimane fa dalla legislazione italiana).
Pensando all’Italia verrebbe da parafrasare quel famoso film di qualche anno fa, “Non è un paese per giovani”. Purtroppo però, questo non è un film bensì la vita reale di un paese troppo a lungo gravato da una crisi dal quale non sembra esserci via di fuga. È giunto il tempo che la politica, da destra a sinistra, si adoperi per dare risposte concrete al bisogno urgente di un paese che non riesce più a produrre lavoro per i propri giovani. Perché, come disse Joseph Conrad (scrittore polacco naturalizzato britannico), “a me non piace il lavoro - a nessuno piace lavorare. Ma mi piace cosa c’è nel lavoro, la possibilità di trovare me stesso.”
Fonti:
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