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libreria economia

26 Giu 2016

Brexit: il problema più grande è politico, per l’economia il futuro non è così nero

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Una notizia ha recentemente scosso la calda routine estiva: gli inglesi hanno votato per uscire dall’Unione Europea il 23 Giugno. Il risultato, che ha scosso tutti soprattutto per la forte improbabilità che lo caratterizzava, ha generato il caos tra gli eurofili, ma soprattutto tra i mercati finanziari.

Nelle principali borse europee forte è stata la vendita dei titoli considerati più rischiosi e conseguentemente la corsa ai beni “rifugio” (come i titoli di stato inglesi e tedeschi). Conseguenza di ciò, ovviamente, è stata un’impennata dello spread. Scenari macabri, quasi apocalittici, quelli che hanno caratterizzato il day after del referendum inglese. In realtà, però, molte delle preoccupazioni che affliggono i cittadini del vecchio continente sono ancora lontane dall’essere realizzate e al tempo stesso improbabili, così come le stime economiche che riempiono i social network del tutto inappropriate. La parola d’ordine, in questi casi, è calma.

Innanzitutto bisogna ricordare che il referendum del 23 giugno ’16 è consultivo e quindi necessita ancora di dinamiche parlamentari affinché possa diventare definitivamente realtà. A complicare ulteriormente questa situazione, l’annuncio del premier britannico David Cameron di voler lasciare la guida dell’esecutivo approssimativamente ad ottobre, in quanto - sostiene l’inquilino di Downing Street - non è lui il leader adatto a portare avanti le trattative per l’uscita dall’UE vista la sua forte campagna a sostegno del “remain”. Una scelta responsabile, che però dilata ancora il tempo necessario per l’effettiva uscita inglese che, secondo l’art.50 del Trattato di Lisbona, è di almeno due anni.

Per quanto riguarda il campo economico, parecchie sono le stime che sono state portate avanti per analizzare l’effetto Brexit sui mercati. A livello finanziario si tratta ovviamente di una scossa: gli investitori temono fortemente il vuoto normativo ora presente nelle relazioni tra UE e Uk, e per questo si rifugiano su titoli sicuri (i famosi beni rifugio) mettendo sotto pressione i mercati finanziari, come quello italiano, soggetti ancora a forti instabilità. Questo fenomeno, come spiegato dal Premio Nobel per l’economia Paul Krugman sul New York Times, non porta però ad un’impennata dei tassi d’interesse. Anzi, l’evidenza empirica è un’altra: i tassi sui titoli di stato inglese si abbassano, sintomo della robustezza economica dell’UK.

Questi dati, inoltre, mostrano come anche non sia presente una vera e propria crisi per l’economia reale. Sicuramente questa subirà un contraccolpo dovuto al Brexit, ma le condizioni economiche per il commercio sono tutte ancora da stabilire. Probabilmente si protenderà verso il “modello Danimarca”, ovvero una presenza nello Spazio economico europeo (EEA) che permetterà all’UK di accedere al mercato comune europeo attraverso il pagamento di un unico dazio. Questo perché l’UE non può fare a meno dell’UK e viceversa: visto il forte legame che intercorre tra i due mercati UE e UK rimarranno forti partner commerciali. È per questo che il mondo della finanza aspetta le decisioni della politica in riguardo alle negoziazioni, e nel frattempo si tutela. Risultato? I cali in borsa di cui abbiamo sentito parlare in questi due giorni di fuoco.

Le negoziazioni non riguardano solo il campo del commercio. Si tratterà anche per la mobilità, turistica e del lavoro. Nodo cruciale questo, poiché la campagna del “leave” ha fatto delle politiche sull’immigrazione uno dei suoi capisaldi. Anche qui i punti interrogativi sono tanti su cosa ci aspetterà, in quanto i cittadini continentali potrebbero essere soggetti alle stesse normative vigenti nei confronti degli extracomunitari. Sicuramente, però, al banco delle trattative si riusciranno a strappare condizioni maggiormente favorevoli per ambo i fronti, vista la grande presenza di cittadini inglesi sparsi in tutta Europa e viceversa. Potranno, inoltre, stare tranquilli gli studenti che sognano un Erasmus oltremanica: nonostante il programma Erasmus sia prettamente proprietà dell’UE, sicuramente gli innumerevoli atenei inglesi (specie londinesi) non si priveranno di opportunità di accogliere i tanti studenti europei. Vi saranno certamente tanti programmi di scambio, diversi da ateneo ad ateneo, per non perdere l’opportunità di studiare in terra inglese.

Le conseguenze più clamorose, più che economiche, possono essere politiche. Infatti, il Brexit può dare il là ad un pericoloso “effetto domino” che potrebbe far cadere definitivamente il sistema dell’Unione Europea. Meno corroborata come tesi, ma altrettanto plausibile, è quella diametralmente opposta: senza un attore politico importante come l’Inghilterra, che ha sempre remato contro una definitiva unione politica per via dell’agognata indipendenza, quest’ultima sarebbe più fattibile. Una stretta in questo senso è stata paventata da tutto il mondo europeista, e non sorprenderebbe affatto se diventasse realtà in qualche anno. L’unione bancaria, che si sta per concludere grazie al progetto della garanzia unica sui depositi, è solo il primo step in questo senso. L’Unione Europea figlia del Brexit, dunque, sarà sicuramente rinnovata: o ancora più forte o definitivamente fallita.

Sergio Inferrera

Messinese, iscritto al corso di laurea in Economia all'Alma Mater Studiorum di Bologna, appassionato al mondo della politica, dell'economia e dello sport

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