In effetti la disorganica e confusa evoluzione dell’ordinamento istituzionale italiano ha lasciato molte transizioni incompiute, dalla vocazione regionale del senato al progetto federalista, dall’abolizione delle province all’introduzione delle città metropolitane, dal superamento della conferenza Stato-Regioni a quello del bicameralismo perfetto, dalla riforma del TUEL alla tanto invocata riduzione del numero dei parlamentari. I continui tentativi delle maggioranze governative di riformare le istituzioni italiane si sono sistematicamente scontrati con i vincoli costituzionali.
E d’altra parte non potrebbe essere diversamente dato che a questo servono le costituzioni, ovverosia a prevenire che una contingente e transitoria maggioranza possa cambiare l’assetto degli organi costituzionali in modo da variare quell’equilibrio nell’esercizio del potere che i Costituenti avevano prefigurato.
Dopo avere accumulato nel corso degli anni una serie considerevole di interventi legislativi contraddittori, gli Italiani si ritrovano ancora una volta a dover valutare una riforma costituzionale che si propone di mettere ordine nella selva di questioni rimaste in sospeso. Il perseguimento di questo fine ha dato origine ad una delle caratteristiche più contestate di questa riforma, ovvero la sua ampiezza.
Infatti, ben 47 articoli della Costituzione verrebbero più o meno radicalmente riscritti da un medesimo disegno di legge costituzionale. Si comprende come non si tratti di una questione di poco momento se si pensa che nel corso di tutta la storia repubblicana gli articoli che sono stati oggetto di modifiche sono stati complessivamente 43.
Certamente, un approccio serio al tema della riforma costituzionale non dovrebbe lasciar indulgere nella insulsa retorica della “Costituzione più bella del mondo” (che peraltro presupporrebbe di conoscere tutte le altre) così come non va trascurato che il progetto di riforma non ha in alcun modo ad oggetto la prima parte della Costituzione ove si trovano i principî ed i diritti fondamentali.
Tuttavia, il disegno di legge “Renzi-Boschi” propone di modificare in maniera sostanziale gli equilibri della forma di governo italiana (e per alcuni aspetti anche la forma di Stato) al fine di favorire la migliore governabilità del Paese. Proprio questo diversificato insieme di modifiche, seppur complesso nel suo insieme, deve essere valutato con consapevolezza dai cittadini italiani in sede referendaria in quanto non ci si può permettere di ridurre questa consultazione ad un mero giudizio politico sul soggetto proponente. In fin dei conti, è la nostra Carta fondamentale la posta in gioco.
Taluni, hanno rivolto critiche severe verso questo profilo poiché, da un lato, è particolarmente difficoltoso esprimere un giudizio univoco sulle diverse parti della riforma, e dall’altro, non è possibile pretendere che tutti i cittadini della Repubblica diventino esperti costituzionalisti dalla sera alla mattina. Alcuni commentatori della dottrina, peraltro, sostengono che l’istituto del referendum costituzionale sia incompatibile con un progetto di riforma così ampio in quanto si porrebbe un problema in relazione alla necessaria omogeneità del quesito. Secondo questa posizione la Costituzione potrebbe essere riformata solo attraverso modifiche specifiche e puntuali del testo o, al massimo, essendo la consultazione referendaria un momento soltanto eventuale, sarebbe pensabile una riforma organica nel solo caso venga raggiunta in seconda deliberazione la maggioranza qualificata dei due terzi.
D’altra parte, però, è anche vero che è possibile individuare senza troppe difficoltà i punti centrali della riforma sui quali è sicuramente lecito chiedere al cittadino di esprimersi senza un’approfondita preconoscenza della giurisprudenza costituzionale. Non vi è dubbio che non sia facile svolgere una esauriente ponderazione dei pro e dei contro delle proposte modifiche, ma ci si può sicuramente fare un’idea attendibile senza ricadere nella logica plebiscitaria.
Pare abbastanza strumentale la proposta di suddividere la consultazione referendaria su più quesiti dal momento che il disegno di legge resta unico e che l’eventuale prevalenza dei voti contrari rispetto a un determinato quesito non consentirebbe di far procedere quelle parti della riforma verso le quali si riscontrasse in prevalenza il consenso dell’elettorato.
Per dare un senso a questo referendum occorre, quindi, capire come cambierebbero le istituzioni italiane evitando, per quanto possibile, di esprimere un giudizio sul governo attualmente in carica.
A questo fine si tenterà sulle pagine di questo blog di esprimere alcune riflessioni sui diversi punti focali del progetto di riforma, senza aderire al partito del “Sì” né a quello del “No” nella modesta convinzione che per cambiare la Costituzione non bisogna essere partigiani ma consapevoli cittadini chiamati a svolgere un dovere civico.