Che tale iniziativa possa dar luogo ad un valore condiviso, ad “un’intelligenza condivisa”, poiché proprio come sostiene P. Levy: “nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità”. In bocca al lupo!
Proprio dal fenomeno delle comunità virtuali, prova dell’incremento delle potenzialità dell’utente always on, ci addentriamo all’interno di alcuni mutamenti che, in seguito alla diffusione delle nuove tecnologie digitali, hanno rivoluzionato il modus agendi sia delle organizzazioni aziendali che del consumatore stesso, oggi meglio noto come prosumer.
Nell’era attuale delle tecnologie web based, l’empowered consumer sperimenta tendenze comportamentali non abituali. La Rete diviene uno spazio sconfinato da vivere e coltivare costantemente, quasi al pari della vita reale. Online l’individuo manifesta la volontà di una maggiore apertura, sia nel modo di esprimersi e di socializzare, che nel modo di ascoltare. In rete l’utente si fida del parere di un estraneo, mostra la volontà di palesare le sue passioni, i suoi interessi e di condividerli in uno spazio dedicato. L’utente che oggi, tramite applicazioni apposite (Uber, Airbnb, MonkeyParking, BlaBlaCar), condivide la sua macchina ed il suo viaggio con uno sconosciuto, che sempre a quest’ultimo apre le porte della sua casa, testimonia chiaramente l’impatto che i mutamenti tecnologici hanno avuto sulla vita reale. Ecco il punto focale: l’influenza. La domanda non è tanto se sia la vita digitale a plasmare quella reale o viceversa, ma piuttosto quanto l’usufruire delle opportunità offerte dalla rete, sta cambiando i nostri comportamenti e quindi quanto si incontrano, mischiano e confondono queste vite sempre meno parallele. La risposta è da ricercarsi in quello che si è disposti a far entrare nella sharing economy; quanto e cosa arriveremo a condividere in futuro? E perché? Forse idealisticamente per ricreare quel senso originario di comunità perduto? Solo per convenienza economica?
La collaborazione attuata in rete, motore propulsore dell’intero sistema, sarà così forte da reggere nel tempo, nonostante ad esempio la caratteristica dell’occasionalità dei rapporti su cui poggia? Stiamo creando questa gigante struttura collaborativa perché nessuno può trarre maggior vantaggio non facendolo o facendo altro? Ogni utente partecipa con l’obiettivo di trarre una maggiore utilità che aumenta quanto più aumentano i contributi altrui; ci troviamo forse in un punto di equilibrio? Quanto tale utilità si fa coincidere con la riduzione della probabilità di rischio, di errore e quindi con la volontà di miglioramento? Migliorare tramite l’esperienza altrui?
Attualmente, l’utente che acquista un prodotto raramente si fa guidare dall’istinto; L'utente in rete ha reperito le informazioni necessarie. L’esperienza d’uso condivisa da altri utenti è stata la sua guida principale e ha colmato il suo gap conoscitivo.
Lo “ZMOT”, il momento zero della verità, introdotto da Jim Lecinski (Google’s managing director of U.S. sales and service) nel 2011, all’interno del modello mentale classico del marketing, descrive perfettamente l’usanza ormai consolidata del ricercare, ante acquisto, informazioni, recensioni, feedback, video, post sul prodotto/servizio interessato; lo Zmot é quel momento temporale che dalla ricerca e nella ricerca conduce alla scelta. Rimanendo nella prospettiva del nuovo consumatore, emerge come la facilitazione dell’accesso a fonti inesauribili e molteplici di informazioni abbia anticipato il momento in cui il consumatore effettua la sua decisione di acquisto. Quest’ultimo, una volta ricevuto lo “Stimulus” raramente considera il punto vendita come un fattore rilevante ai fini della scelta e sempre meno quel tête-à-tête con la merce mostra di poter condizionare la decisione nata nel web, nelle community, nello Zmot, negli Zmot; quasi mai riesce a superare la forza del paragone tra le varie user experience condivise (Umot).
L’esperienza però non è una risorsa esclusiva degli utenti già interessati, già affetti dal bisogno. Quindi non abbiamo solo quello Zmot in cui si immergono gli utenti intenzionati a ricercare le verità di cui necessitano, in seguito allo stimolo e prima dell’acquisto. Spesso gli utenti ricercano a caso, navigano tra diverse community alla ricerca dello stimolo stesso, alla scoperta di qualcosa che possa interessarli. Tale momento riproduce in rete gli stessi effetti del marketing tradizionale: l’induzione, creando uno spazio in cui più forze, Umot, Zmot e gli strumenti classici del marketing, danno vitalità ad un processo in cui la fine si distingue dall’inizio solo a seconda della prospettiva da cui si sta guardando.
A seguito di diversi epic fail le organizzazioni aziendali mostrano di aver compreso quanto stimolare all’acquisto possa ritenersi condizione necessaria, ma non sufficiente e l’importanza dell’essere presenti li dove l’utente sta ricercando le informazioni di cui necessita, fornendo contenuti utili, aprendosi al dialogo, catturando l’interesse con l’ausilio della narrazione, partecipando alle discussioni, ma soprattutto inglobando quello che poco prima consideravano solamente come l’attore distruttivo dei suoi output in ogni fase gravitante intorno l’azienda stessa.