Come ogni notte negli ultimi due anni, ho percepito il momento esatto in cui mi sono addormentata. Generalmente mi ritrovo in una stanza buia, con l’ormai familiare pulsante rosso in bella vista. Una specie di pulsante d’emergenza per lasciare le situazioni pericolose. Ho scoperto a mie spese che i sogni che faccio hanno ripercussioni sulla realtà: se sogno di ferirmi ad un braccio, al mio risveglio, lo troverò ferito. Se sogno la morte di una persona... Stanotte, non mi sono materializzata nel mio sogno, ma direttamente fuori, per strada. Negli ultimi anni, ho scoperto che la nostra mente inconscia è organizzata come una metropoli: ci sono strade più o meno grandi, ai cui lati si innalzano grandi edifici, tutti a quattro piani. Ognuno di questi, rappresenta una parte del nostro inconscio: sogni, desideri, ricordi traumatici ed istinti. Non sono mai uscita dalla mia mente per entrare in quella di qualcun altro prima d’ora. Il palazzo che si innalza davanti a me mi mette angoscia, è fatto in vetro e ferro: sembra un grattacielo di New York. La porta automatica in vetro si apre. Un chiaro invito ad entrare. Varco quella porta, il cuore mi batte a mille.
VICTOR
Ci ho messo mesi a corrompere il tuo inconscio, piccola Ivy, ma alla fine ci sono riuscito. Sei caduta nella mia ragnatela: da qui non uscirai mai… VIVA.
IVY
Buio. Tutto intorno a me è inondato di tenebra. Vedo apparire una piccola finestrella in vetro, come quelle delle sale interrogatori dei telefilm. Una luce accecante inonda la piccola e angusta stanza. Tutto in quella stanza è bianco: le pareti, il pavimento, il soffitto; persino la sedia posizionata al centro. Cerco di dare una logica a quello che sto vedendo, quando una donna dai capelli lunghi e neri si materializza sulla sedia. Sembra fissarmi con i suoi due enormi occhi azzurri. Sembra stanca, rassegnata. Rovescia gli occhi, apre la bocca, e tentacoli neri come la pece fuoriescono con prepotenza. Avvolgono la stanza, risucchiandola. Buio. Un vicolo prende forma attorno a me. Non sono sicura ma credo di essere a Londra, nella mia città. La stessa donna della stanza bianca si trova distesa per terra. Immobile. “Piccola Ivy! Finalmente ci incontriamo”. Una voce calda e suadente a pochi centimentri dalle mie spalle, mi fa trasalire. “Presto, mia cara bambina, farai la sua stessa identica fine.” Con uno schiocco di dita, quella donna sparisce, e al suo posto compare una mia copia. Una risata fredda e malvagia riempie il silezio del vicolo. Non mi volto a guardare in faccia quell’uomo, ma al contempo, nessun muscolo del mio corpo risponde al mio comando di scappare. Fisso me stessa, morta. Non posso fare altro, quando un guizzo cattura la mia attenzione. Una porta gotica un po trasandata e ricoperta di piante rampicanti, si materializza sul lato destro del vicolo. L’ascensore! Con uno scatto lo raggiungo. “Ci vediamo al traguardo bambina mia”. Di nuovo quell’agghiacciante risata. Le porte dell’ascensore si chiudono, facendomi tirare un sospiro di sollievo.
VICTOR
La ragazza non ha idea di quello che l’aspetta. Le lascerò un breve vantaggio, poi inizierò la caccia.
IVY
L’ascensore è l’unico modo per passare da un piano all’altro. Non ho visto pulsanti rossi di emergenza: ho la sensazione che per uscire dovrò attraversare tutti e quattro i piani. Le porte si riaprono, ed io mi ritrovo in un bellissimo quartiere residenziale. Sono nel piano delle esperienze traumatiche.
“Ciao, vuoi essere mio amico?”
“Tuo amico? Io non parlo con i bambini strani!”. Dopo aver guardato con disgusto il ragazzino pelato e con le occhiaie che gli stava di fronte, sale i tre gradini del pulmino giallo, seguito dalla sua massa informe di capelli ricci. Tutto si fa confuso e quando i miei occhi tornano a mettere a fuoco, mi trovo ad osservare dalla soglia della porta una classe di prima elementare. “Allora bambini, oggi faremo un gioco sull’amicizia”. Esordì la giovane insegnante sorridendo. “Ognuno di voi dovrà scrivere un complimento ad un compagno, e una critica ad un altro.” Il bambino dai capelli ricci fu il primo a paralre “Jessica, mi piace molto la tua maglietta. Victor….” Il ragazzino pelato alzò lo sguardo, in attesa “sei strano e non piaci a nessuno. Nessuno vuole essere tuo amico perch…” il ragazzino non finisce la frase: Victor gli è piombato addosso con una matita appuntita in mano. Cade a terra in una pozza di sangue. Gli occhi sbarrati. Uno in realtà. Nell’altro era ancora conficcata la matita. Mi guardo attorno come in cerca di aiuto, fino a quando non noto le familiari porte dell’ascensore. Corro in quella direzione, cercando di trattenere le lacrime, senza molto successo.
VICTOR
Tre, due, uno.. sto arrivando piccola Ivy!
IVY
Il terzo piano è dedicato ai desideri. Quando le porte dell’ascensore si aprono rimango sbalordita nel vedere la mia bellissima città. C’è il sole e il solito viavai di turisti e persone che si affrettano ad andare a lavoro in qualche modo mi conforta. Quando mi avvicino ad un passante, però, mi accorgo che questo è inespressivo. È come se gli avessero tolto la linfa vitale. Mi giro a guardare una giovane donna seduta su una panchina. Anche lei ha lo stesso sguardo. Mi trovo in un mondo fatto di automi. Mi giro a guardare il Big Ben, e rimango paralizzata: al posto del famoso orologio, si erge la statua di un uomo pelato e con le occhiaie. Victor! Nel cielo limpido, appare una scritta. “Uccidete la ragazza”. Immediatamente, migliaia di individui si voltano nella mia direzione, gli occhi iniettati di sangue, i denti ben in vista. Non potevo andare da nessuna parte. Ero circondata. Un uomo panciuto i cui lineamenti del viso erano distorti dalla rabbia, mi afferra il polso e inizia a tirarmi verso di lui con forza sovrumana. Posiziona entrambe le mani attorno al mio collo e inizia a torcerlo. Il dolore è indescrivibile, mi manca l’aria. Morirò. Stanotte. Ora. “Dove mi trovo? Cosa sta succedendo?” Questo è solo un sogno: adesso aprirò gli occhi e mi troverò nel mio letto. Al caldo. Al sicuro. Non ho mai creduto in Dio. Forse dovrei iniziare ora.. Non sono consapevole di niente se non che le grosse mani dell’uomo allentano la presa, scivolando via. Qualcosa mi afferra mentre sto precipitando al suolo. Buio. Pace.
“Svegliati, non abbiamo tempo!”. Una bambina con le ali e due enormi occhi colore del ghiaccio mi osserva con aria preoccupata. Gli occhi, il naso.. assomiglia molto a… Possibile che sia… “Mi hai sentita? Dobbiamo muoverci!”. L’angioletto mi rimette in piedi e mi trascina verso le porte dell’ascensore. Mi giro appena in tempo per vedere la testa lucida Victor tra la folla. Dipinto in viso, un sorriso di sfida.
VICTOR
Corri, piccola Ivy… Corri!
IVY
“Chi sei tu?”. La bambina mi guarda e sorride “Sono te, sciocchina! Davvero non mi riconosci?” Alza gli occhi al cielo e continua “Sono venuta per aiutarti. Sei finita in un gioco pericoloso, e rischi, anzi, rischiamo, di morire qui dentro. Hai notato che non ci sono pulsanti di emergenza? Questo palazzo è una trappola. NESSUNA delle giovani donne che è entrata qui dentro è mai riuscita ad uscirne viva!” “E cosa può fare una bambina con le ali?”. La Piccola Me mi guarda un po’ imbronciata, ma per fortuna le porte dell’ascensore si aprono: se non ricordo male, questo è il quarto ed ultimo piano. La parte più primitiva di una persona si trova qui, chiusa a chiave dal Super-io, sorvegliata notte e giorno. “Dobbiamo attraversare la camera blindata per poter uscire?”, non so perché, ma mentre lei dice questa frase, in me si forma lo stesso, identico, inquietante, pensiero. “Si, Piccola Me. Dobbiamo attraversarla.” Mi avvicino alla porta, e le urla che provengono dall’interno mi fanno rabbrividire: sembra di essere in un macello. Faccio un respiro profondo e avvicino la mano alla maniglia. “FERMA! Nessuno può entrare!” Un gigante con un occhio solo si materializza davanti a me, bloccandomi il passaggio. “Ivy, cosa diceva la professoressa Jackson sul SuperIo?” Aggira le convenzioni sociali per trovare gli istinti, ma certo! “Signore, io non voglio entrare. Voglio controllare che sia tutto in ordine. Nulla deve uscire da questa stanza”. Il gigante mi squadra con quel suo occhio terribilmente inquietante per un tempo che mi pare infinito, soffermandosi sulla mia espressione seria e determinata. Senza aggiungere una parola, apre la porta. Una vampata di calore mi fa quasi perdere i sensi, e la voglia di scappare è fortissima. Varco la soglia, e osservo lo scenario infernale che mi circonda: sono finita in una savana in fiamme. Ci sono cespugli che bruciano ovunque il mio sguardo si posa, e l’aria è pesante. Il cielo è cupo nei suoi toni del nero e del rosso. In lontananza intravedo una figura. È accovacciata e vestita di stracci. Riconosco subito la sua testa calva. Dietro di lui vedo una porta. È li che dobbiamo andare. Mi nascondo dietro un cespuglio di rovere in fiamme. “Sarebbe un vero peccato se lui si voltasse proprio ora non è vero? Ora che sei così vicina alla salvezza?”. Mi giro, ma non c’è nessuno. Possibile che lo abbia solo immaginato?
I suoi occhi sono fissi su di me, crudeli e selvaggi. Come un felino, si prepara all’attacco. Sentii qualcuno urlare: ci misi un po’ a capire che ero io.
VICTOR
“Perché urli piccola Ivy? Non ti ho ancora sgozzata…”
IVY
La sua risata rieccheggia anche nella savana, coperta parzialmente dal rumore del fuoco che brucia, mentre tutti i Victor che ho incontrato fin ora mi accerchiano. Sono quattro proiezioni della stessa persona. In contemporanea, si fermano. Immobili. Da dietro il Victor del sogno e quello animalesco, un uomo alto e ben vestito, con bellissimi occhi grigi e la testa pelata fa il suo ingresso. Devo ammettere che è molto più affascinante cosi. “Te l’avevo detto che ci saremmo rivisti al traguardo, piccola mia. Allora, che effetto fa entrare nella mente di un’altra persona?” Termina la frase con un sorriso accattivante. Cerco con lo sguardo la Piccola Me, inviandole un pensiero: dopotutto siamo in un sogno! Lui è sempre più vicino. Una luce abbagliante si sprigiona dalle ali argentate della bambina: le fiamme si ghiacciano, tutto diventa immobile, le quattro copie di Victor, spariscono nel nulla. Alzo lo sguardo su Victor e al suo posto vedo solo un bambino. Un bambino con le occhiaie e senza capelli. Mi fissa con occhi innocenti, terrorizzati. È vulnerabile. Mi avvicino a lui. “Ciao Victor, ti va di giocare con me?” La mia voce è infantile e acuta: sono tornata bambina anche io. Lui mi guarda sorpreso e sorride. Iniziamo a giocare, ma un rumore cattura la mia attenzione. Quando guardo di nuovo di fronte a me, mi accorgo di essere sola: dov’è finito?
Un dolore lancinante alla schiena mi fa crollare a terra. Vedo tutto confuso, il rosso è tornato a dominare la scena. “Credevi davvero, piccola Ivy, che sarebbe bastato essere gentile con me per farmi diventare una persona buona? Ora ti svelo un segreto, puoi guarire un cuore infranto, ma non puoi curare una cosa che non esiste più”. È a cavalcioni sopra di me e mi guarda con una scintilla di follia nei suoi profondi occhi grigi. Nella sua mano destra si materializza un coltello. Sento la gelida lama premere sul mio petto, quando il cielo cupo, lentamente si schiude lasciando intravedere un raggio di luce. Chiudo gli occhi e una strana sensazione mi pervade: sono viva… o morta?
Human Europe Capital è un sito di lettura. I professionisti e gli appassionati di una disciplina possono pubblicare i loro studi, le loro riflessioni e i loro racconti.
E’ un generatore di idee e di spunti di riflessione. Gli articoli nelle materie indicate possono essere tecnici o generalisti. Per addetti ai lavori o per tutti.
Human Europe Capital siamo tutti noi uniti. Anche con pensieri e idee diverse.
Per info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.